Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

22 dic 2011

Critica della tolleranza - Herbert Marcuse (Saggio - 1967)



"Ma la società non può esser priva di discriminazioni dove la pacificazione dell'esistenza, la libertà e la felicità stesse sono in pericolo: qui, alcune cose non possono venir dette, alcune idee non possono venire espresse, alcune politiche non possono esser proposte, alcuni comportamenti non possono esser permessi senza fare della tolleranza uno strumento per la continuazione della schiavitù". 

La tolleranza: ormai da qualche secolo tema sempre attuale. 
Anche Marcuse si è rivolto verso questo argomento, lasciandoci un’opera che a primo sguardo potrebbe apparire sovversiva. Con uno stile asciutto, quanto la logica dietro le osservazioni del filosofo, il punto di vista di Marcuse, però, è da contestualizzare. Le sue considerazioni, le sue critiche, infatti, si reggono solo se il tema fissato si svolge entro un momento storico particolare e definito: l’epoca della società capitalista occidentale. Secondo il tedesco la nostra società industriale non è tollerante, non è pienamente democratica, è una società che sopporta più che tollera: esistono ruoli e statuti che predominano su altri. Per cogliere l'essenza della tolleranza, dunque, dovremmo essere tutti uguali, ma fintantoché sussisteranno differenze non si potrà parlare di ‘tolleranza universale’. E allora sarà possibile, anzi sarà giusto e lecito essere in lotta, essere intolleranti. Specialmente di fronte alla regressione e ai pensieri fascisti - presenti nella nostra società dominata da chi possiede il potere dell'informazione.
Un libretto carico di spunti interessanti su una questione delicatissima, dove l'incontro può, e in alcuni casi deve, essere scontro. Ma è anche un tema in cui, tra le righe, si può cogliere la pericolosità degli estremismi e degli assoluti.

20 dic 2011

Gli ultimi giorni di Immanuel Kant - Thomas de Quincey (Biografia - 1854)


"Parlava di se stesso come di un ginnasta che avesse continuato per quasi ottant'anni a conservare l'equilibrio sulla corda tesa della vita, senza mai oscillare né a destra né a sinistra. E certamente, a dispetto delle varie malattie a cui la sua costituzione lo aveva esposto, egli manteneva ancora trionfalmente la sua posizione nella vita".

Trovo la filosofia kantiana altissima, ma allo stesso tempo povera di coraggio. Un filosofo dalle immense possibilità, figlio di giganti che prima di lui avevano forse scorto realtà troppo grandi, che tuttavia di fronte all’ultima verità ha cercato di nascondersi, rinunciandovi e trovando soluzioni al nulla e all'impossibilità che lasciano il tempo che trovano. Eppure è un mostro filosofico straordinario, dall'immenso fascino, e con esso bisogna confrontarsi. 
De Quincey, grande ammiratore della figura del filosofo di Königsberg, in questo scritto si occupa degli ultimi giorni di vita dell'autore de 'La Critica della Ragion Pura'. Nondimeno, sin dalle primissime battute, appare evidente come sia lo stesso scrittore inglese a mettersi in gioco, a dire la sua. Lo fa con un po' di arroganza (sono indicative a tal proposito le sue chiose), mostrando però un alto intuito e buona preparazione. De Quincey non è un testimone diretto. Trova le fonti per il suo libro dagli amici del filosofo (Wasianski su tutti). Testimonianze preziosissime queste, che però possono essere corrette da supposizioni e brillanti folgorazioni che lo stesso inglese riporta in lunghe e dotte note. 
Naturalmente il racconto è avvincente, i ricchi aneddoti riportati, soprattutto per le abitudini maniacali, sono divertenti e curiosi. Ma come potrebbe far pensare il titolo, il libro non si occupa solo degli ultimi giorni del filosofo. Dopo un breve excursus sulle sue abitudini, infatti, l'argomento principale diventa la vecchiaia, la lenta decadenza fisica e intellettuale che, poi, porterà alla morte uno dei più importanti autori della storia filosofica.

18 dic 2011

La marchesa di O..., Michael Kohlhaas - Heinrich Wilhelm von Kleist (Racconti - 1808/1810)


"Sulle rive della Havel, verso la metà del sedicesimo secolo, viveva un mercante di cavalli di nome Michael Kohlhaas, figlio di un maestro di scuola, uno degli uomini più giusti e insieme più terribili del suo tempo".

Iniziamo col dire che quest’ultima è stata una lettura lagnosa, quasi irritante direi. Del romantico tedesco, e in particolare del romanticismo tedesco in generale - filosofico e letterario -, non ho molta stima. La mia ammirazione nei loro riguardi è pressoché trascurabile. E questi racconti, di certo, non hanno contribuito ad aumentarla. 
Il primo racconto, ‘La marchesa di O…’, ha un solo pregio: un 'montaggio' narrativo pregevole, con flashback e incastri di una certa levatura. Ma la storia tende al ridicolo. Già dall’incipit, non male a dire il vero, ci catapultiamo in un mondo grottesco. La marchesa di O. pubblica sui giornali il suo desiderio di conoscere l’artefice della sua impossibile gravidanza. Il racconto diventa via via però tragico. Una tragicità che tuttavia presto muta e ritorna comica: coinvolta in uno scontro militare e salvata da un conte russo che presto si innamora di lei, la scoperta di essere incinta, il successivo ripudio da parte del padre, l’assurda verità sullo stato di gravidanza (mentre beatamente dormiva, la giovane donna era stata inavvertitamente posseduta da un cacciatore!), il ritorno agli affetti della famiglia e infine il matrimonio con il conte russo. Come si vede, il racconto appare buffissimo, inoltre è straripante di lacrime mielose e svenimenti avvilenti. Un tipico racconto romantico, ma di certo non la descrizione di emozioni e sentimenti che si avvicinano al vero. Altro che realismo kleistiano, qui si sfiorano le vette più alte dell'assurdo!
Con il secondo racconto, invece, i momenti di potenza espressiva e meditazione non mancano. Specialmente nella prima metà della storia. Siamo nel '500, Michael Kohlhaas, un onesto e giusto mercante di cavalli, per un estremo senso della giustizia diventa un rivoltoso e persino un assassino. Un’ingiustizia subita (uno scherzo maligno più che altro), una giustizia formale che non funziona, una catena di altri eventi nefasti e il desiderio estremo di ottenere verità e imparzialità, porteranno il mercante di cavalli a vendicarsi dei torti subiti. Diventa così un ribelle, assolda addirittura altri uomini, e al comando di un piccolo esercito mette a soqquadro una regione tedesca e cerca vendetta. Poi, prima di ottenere soddisfazione, la calma. Si inseriscono nella storia altri personaggi minori (persino Lutero) e il racconto diventa un lungo e noioso preparativo al processo che alla fine vedrà il protagonista condannato a morte.
Solo un rigo sullo stile: la sintassi è verbosa, ricolma di incisi non sempre equilibrati; anche questo ha contribuito…

14 dic 2011

Il partigiano Johnny - Beppe Fenoglio (Romanzo - 1968)


"Le case borghesi erano sigillate come sepolcri, l'ingresso vi era rigidamente e tacitamente precluso dal terrore medesimo degli occupanti, e Némega approvava la separatezza dei borghesi, per non indurre nei suoi uomini nostalgie, reminescenze, comodità... E fuori, fischiava eternamente un vento nero, come originatesi dalla radice stessa del cuore folle dell'umanità".

Johnny, studente piemontese appassionato di letteratura inglese, decide di raggiungere le Langhe per arruolarsi tra i partigiani. Dopo alcune azioni con i garibaldini, Johnny decide di unirsi ai badogliani. Tra numerosi racconti di operazioni partigiane - tutte dal sapore amaro, con le vittorie e le sconfitte raccontate senza esaltazione o eccessiva delusione - il partigiano, l'antifascista, il fautore della libertà si mette a nudo nella sua complessità di uomo. E la vitalità dei giovani, il senso dell'avventura, la riproduzione tersa della disumanità umana e al contempo della condivisione, emergono dalla narrazione delle vicende del protagonista. Attributi questi che, così sembrerebbe (il romanzo è incompiuto), lo porteranno alla morte. Un romanzo, dunque, antiretorico e antiepico, di formazione, di crescita – una crescita non compiuta evidentemente - nel quale alcuni valori si scoprono raggiungibili solo per mezzo del male. 
Seppur scritto in terza persona (scelta che in un romanzo del genere non riesce a coinvolgermi), l'analisi introspettiva del protagonista è notevole. Tra un’indecisione e l’altra, tra una decisione e un'altra che ne smentisce la precedente, Johnny appare luminoso nel suo conflitto interiore. Alla ricerca del senso della guerra, della libertà, il giovane non trova che opposte emozioni, contraddittori pensieri altalenanti. Tuttavia la scelta della terza persona, se da un lato ci permette di cogliere più distintamente le difficoltà psicologiche, dall’altro non permette di assaggiare appieno i sentimenti del personaggio principale. In Meneghello, ad esempio, si ‘sente’ l’anima del protagonista; qui, invece, si guarda (e spesso non si osserva) un personaggio in balìa degli eventi che sì lo fanno maturare, ma senza che la progressione del sentimento sia descritta, sviscerata.
Probabilmente per via dello stile, a tratti surreale, a tratti asciutto, a tratti ancora sovrabbondante di fastidiose quanto sconcertanti espressioni inglesi sparpagliate sulle pagine come superflue macchie nere su un dipinto realistico (espressioni che nella seconda parte del romanzo, per fortuna, diventano sporadiche, meno invadenti, meno sconvenienti), non è stata una lettura appassionante. A parte, però, per i continui neologismi e per l’impiego di verbi con uso metaforico: sorprendenti, disorientanti, utili.
Anche la costruzione narrativa delle azioni militari è poco trascinante. Manca di pathos, del calore delle emozioni. 

3 dic 2011

Stanley Kubrick Barry Lyndon - Philippe Pilard (Saggio – 1990)


"'Barry Lyndon' ha richiesto 250 giorni di lavorazione in Irlanda, Gran Bretagna e in quella che all'epoca era ancora la Repubblica Democratica Tedesca. Il costo totale, previsto in partenza in 2 milioni e mezzo di dollari, arriverà a toccare gli 11 milioni. Il film vince il British Academy Award per la miglior regia nel 1975 e, l'anno successivo, quattro Oscar per la fotografia, la scenografia, i costumi e la miglior colonna sonora non originale. Accolto tiepidamente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, 'Barry Lyndon' riscuote buoni successi di pubblico in Francia, in Italia e in altri paesi, anche se, complessivamente, non riesce a recuperare l'investimento iniziale".

Saggio per certi versi più analitico, seppur più discorsivo, del precedente su 'Shining', prova a mostrare come un film, oltre che assumere con il tempo la connotazione di 'classico', possa rappresentare la Storia in immagini e come essa possa rivivere nelle violente essenze dell'uomo. Descrivere l'uomo medio, perseguitato dal fascino del potere ma che è destinato alla sconfitta (un uomo non necessariamente del XVIII secolo), è lo scopo dell’immenso regista. Però, fa notare il critico cinematografico con inevitabili e robusti richiami, che non sono tanto i dialoghi a tratteggiare la psicologia e il tormento dei personaggi, quanto la scelta dei commenti musicali, delle magnifiche scenografie e delle pittoriche scelte fotografiche. Nell'analisi, il saggio si sofferma spesso a confrontare il film del 1975 con le altre pellicole del geniale cineasta, mettendone così in luce la ricerca morbosa dei dettagli. Ed è ovvio che il film non sia facile, di certo non commerciale, eppure è grazie a ciò che ha lo spessore dell'opera indistruttibile, duratura.

Un film vigoroso secondo Pilard, che è grande perché possiede perfino le qualità espressive del cinema muto.

28 nov 2011

Bluff di parole - Gesualdo Bufalino (Aforismi - 1994)


"Per malconcia che fosse, sentivo la vita nel pugno come uno scettro, un talismano, una rosa... Ora è acqua, fra le dita malchiuse, che scivola via”.
"Più m'incaponisco a capirle, più vita e letteratura mi paiono le due facce d'un medesimo abrakadabra".

Vicino e ammiccante a 'Il malpensante' (1987), in uno stretto discorso non interrotto per argomenti, struttura e stile, questo libro si può considerare quale summa del pensiero del professore comisano. I titoli della prima e dell’ultima sezione - 'Lunario dell'anno che viene' e 'Lunario dell'anno che va' - manifestano la continuità con il primo libro di aforismi il cui sottotitolo recitava, per l’appunto, 'Lunario dell'anno che fu'. Una trilogia del pensiero, un bisogno urgente di mettere in contatto i libri scritti per sé al fine di erigere un’unica grande architettura fatta di pagine vergate di parole e riflessioni barocche.
Solitudine come vizio per rodersi dentro; la vita come lenta e inutile consunzione verso la morte; Dio con la sua imperfezione e la sua paura di mostrarsi; i libri ricolmi di menzogne e di verità; il peso della vecchiaia e la sua malinconica memoria; il tempo e la mancanza di curiosità come metro della morte: i soliti incommensurabili temi bufaliniani. Ma la brevità dell’aforisma e l’arguzia della parola, rendono le sue riflessioni gustose, sì, ma dal sapore aspro, a tratti violento, quasi velenoso.
Traboccanti di citazioni preziose di autori affini per gusto e per sentimento, disseminati di raggelanti aculei ironici, gli aforismi dell’immenso scrittore siciliano raccontano il pensiero di un vecchietto di provincia, dall'animo cosmopolita, che non ha più nulla da chiedere alla vita. Le parole sono balocchi per giocare alla vita, per smascherarla anche, ma con un che di provvisorio, di velleitario che alla fine lascia il posto alla sconfitta, al silenzio, alla rassegnazione della morte.

27 nov 2011

Stanley Kubrick Shining - Giorgio Cremonini (Saggio - 1999)


"L'ironia è un modo per deridere l'uomo, la presunzione e l'insufficienza dei suoi sogni e ordini sociali, ma anche per negare la verità e affermare di conseguenza il mistero, in tutte le sue forme: prima fra le quali quella che avvolge l'uomo, nel tentativo di mascherare la sua inadeguatezza, ovvero l'inadeguatezza del mondo che si è costruito attorno e dentro e che fa acqua - o sangue - da tutte le parti".

Dedicato interamente a uno dei capolavori dell'opera kubrickiana, e a uno dei capolavori del cinema horror, questo è un saggio attento e semplice - nell'accezione migliore del termine -; un libro, è ovvio, per chi ha almeno un'idea della filmografia del regista statunitense. 
Nell'analizzare il film del 1980 (anche descrivendo dettagliatamente singole sequenze), l'autore intende mostrare quanto in fondo sia il tema della contraddizione dell'uomo - sia essa del singolo uomo, come nel caso di Jack Torrance, sia essa collettiva, come nel caso, ad esempio, de 'Il dottor Stranamore' o di 'Full Metal Jacket' - la linea di sostegno dell'intero cinema di Kubrick. È un conflitto, quello umano, che nasce dal contrasto tra i limiti della ragione e l'infinita stupidità umana. Contraddizione che può avere uno sbocco: la follia. Il film, infatti, altro non è che un viaggio, una discesa verso gli intrecci oscuri della labirintica mente umana. 'Shinig', dunque, come labirinto della psiche (non a caso il labirinto, sia esso l'hotel sia il dedalo innevato, è uno dei protagonisti del film). Così la dimensione orrorifica di quest’odissea si fa interiore, intima. La follia, l'assenza di una spiegazione logica che si rivela negli sguardi di Jack o nella fotografia degli anni ’20 che chiude il film, infatti, definisce il lungometraggio come un’eccellente opera d’arte sull'inconscio, sul dubbio e sulle sterminate possibilità dell'opera aperta.

Su un regista che non lascia nulla al caso, il libro si sofferma molto non solo sugli aspetti tecnici della pellicola, ma anche sulla sua portata filosofica, sociologica, oltre che psicologica. Un film sfuggente, fantastico, spiazzante: tutti i requisiti per ottenere un cinema capolavoro.

24 nov 2011

Stanley Kubrick - Bill Krohn


"Dei grandi riferimenti che hanno accompagnato il giovane Kubrick - due grandi guerre e la Shoa, l'America e l'Europa, il giudaismo, la fotografia, il gioco degli scacchi - il più plasmante è senza dubbio quest'ultimo. Come molti grandi registi, Stanley Kubrick era un tipo davvero eccentrico, come lo sono i campioni di scacchi".

Scopo dichiarato della monografia è di mostrare come Kubrick, il geniale cineasta scomparso nel 1999, sia ancora vivo. La sua figura e la sua opera restano epocali, mentre la loro enigmaticità non manca di suscitare attrazione e riflessione. 
Dai richiami biografici quasi del tutto assenti, il lavoro del critico cinematografico americano racconta cronologicamente la filmografia dell’ingegnoso regista. E le mosse del gioco degli scacchi, le ripetizioni dei temi, così come il ‘perturbante’ freudiano, ne sono il leitmotiv. Gli aneddoti riguardanti i film e la loro realizzazione, seppur non moltissimi, sono raccontati con intelligenza, e le citazioni critiche e i pensieri dello stesso autore sono illuminanti e preziosi per capirne la profondità. Il libro è arricchito da bellissime immagini che ritraggono il regista sul set, oppure gli sguardi concentrati degli attori, o ancora i fotogrammi dei film. Sono presenti anche schede di approfondimento utili per comprendere alcuni dettagli della sua suggestiva opera.

Un libro per cominciare i primi passi verso l'esplorazione di un universo a tratti tuttora inesplorato.

19 nov 2011

Minima moralia - Theodor Wiesengrund Adorno (Saggio - 1951)


"La negazione della verità oggettiva attraverso il ricorso al soggetto include la negazione di quest'ultimo: non resta più nessuna misura per la misura di tutte le cose, che cade in balìa della contingenza e si trasforma in falsità. Ma tutto ciò rinvia al processo reale di vita della società".

Scritto tra il '44 e il '47 del secolo scorso, è un libro di pensieri e aforismi (153 per l’esattezza) sull'etica e sull'estetica. Già il sottotitolo, "Meditazioni della vita offesa", ci annuncia il disagio dell’uomo che ha subito la guerra, che subisce la tecnologia e il brutto. Se vogliamo, possiamo pensare al libro come a un invito alla riflessione sull'impegno politico, più nello specifico al ruolo che l’arte potrebbe avere sull’etica: l'estetica al servizio, a guida della politica. Ma nel prendere sul serio l’assoluto, il bello, l’arte, occorre prima di ogni cosa riconoscere che Hegel si sbagliava (e ciò non è difficile) e ribaltarlo considerando il tutto come falsità. Quindi è la critica delle apparenze, il rovesciamento di tesi e antitesi per una sintesi nell'idea della falsità, che ci dà il fondamento di tutto. Ecco perché credo sia un libro, oggi contraddittoriamente dal forte sapore reazionario, sul dovrebbe essere. L'incipit di tutto dovrebbe essere l'individuo, ma la cultura di massa e il 'kitsch' non permettono una piena realizzazione dell’uomo.
Quasi assillante, seppur in modi diversi, la presenza di Freud, di Marx, di Hegel e di Nietzsche, i pensieri di Adorno sono uno spaccato, solo all’apparenza disomogeneo, della cultura dell'uomo moderno occidentale, superstite di una guerra e del nazismo che hanno un peso non facile da sopportare (soprattutto se si è stato osservatore diretto e vittima). Le riflessioni del filosofo della Scuola di Francoforte sono dunque inevitabili e focalizzano la loro attenzione sulla stupidità dell'estremismo. Allora la riflessione è pure un'analisi spietata, perché sincera, di una società devastata dalla guerra, ma che in parte è ancora attuale. 

Un libro che forse pecca di generalizzazione; un'opera, per stile e contenuti, non facile e con idee, forse, oggi non del tutto freschissime.

10 nov 2011

Antigone - Sofocle (Tragedia - 442 a. C.)


"Sapevo bene - cosa credi? - che la morte mi attende, anche senza i tuoi editti. Ma se devo morire prima del tempo, io lo dichiaro un guadagno: chi, come me, vive immerso in tanti dolori, non ricava forse un guadagno a morire?"

Antigone, figlia incestuosa di Edipo e Giocasta, per pietà reca degna sepoltura al fratello Polinice, accusato di tradimento, andando contro il divieto di Creonte, fratello di Giocasta e nuovo re di Tebe. La decisione dell’arrogante e orgoglioso re è tremenda: Antigone deve essere sepolta viva. Ma dopo le tremende profezie dell’indovino Tiresia, Creonte decide di fare un passo indietro. È troppo tardi però, Creonte trova la ragazza impiccata nella grotta in cui era stata murata. Soverchiato dal dolore e dall'odio verso il padre Emone, figlio di Creonte e amante di Antigone - vittima della passione ma anche del buon senso (bellissimo lo scontro dialettico con il padre) -, si toglie la vita. E alla notizia della morte del figlio, Euridice, sposa di Creonte e madre di Emone, si uccide.
Siamo di fronte alla tragedia della scelta e della necessità, della legge divina contro la legge dell'uomo. Il destino è dettato dalla colpa dei padri (se di colpa, oggi, si può parlare) e non vi è via di fuga possibile se non nella scelta tra il vivere nella colpa e nel dolore, o nella morte. Una storia triste dunque, non tanto perché c'è odore di morte, di assassinio e suicidio, quanto perché questo puzzo nauseabondo è sprigionato da false e meschine credenze. Nella tragedia di Sofocle scorgo un esempio di come la superstizione possa essere nefasta.

Sebbene oggi, parole come fato, destino, colpa, non abbiano lo stesso significato di allora, la storia di Antigone mostra tutta la sua modernità e universalità. Lo scontro tra ciò che si ritiene giusto e ciò che non lo è, tra la natura e la convenzione, tra la passione e la ragione, tra la ragione e la follia, tra il dolore e la morte, insomma tra gli ossimori della vita, resta attualissimo. E non mi sorprende che la forza di questa tragedia sia ancora prepotente.

4 nov 2011

La caduta nel tempo - Emil Michel Cioran (Saggio - 1964)


"Non esistere più per nessuno, vivere come se non si fosse mai vissuti, bandire l'evento, non avvalersi più di alcun momento né di alcun luogo, svincolarsi per sempre da ogni assoggettamento! Essere liberi significa emanciparsi dalla ricerca di un destino, rinunciare a far parte sia degli eletti sia dei reprobi; essere liberi significa esercitarsi a non essere niente".

Di fronte a un pensatore come Cioran possiamo solo inchinarci e al contempo godere amaramente. Sprofondato dentro se stesso, alla maniera di un mistico laico, il filosofo rumeno scopre un uomo innaturale, paradossale, illogico; un fallimento della creazione. Vittima di Dio e dopo della conoscenza, l’uomo è un insulto al senso. L’uomo viene sempre dopo, non è mai principio e principe. E se Dio invece lo è (principio e principe) è solo un sobillatore, un mostruoso tiranno che si diverte e si crogiola nella sua incapacità. Eppure è sempre l’uomo (in una ribaltata prospettiva pascaliana) che più conosce e più assume il carattere della singolarità e diventa la nota stonata, la dissonanza della natura, dell’universo. Grazie alla conoscenza coglie la vastità del cosmo e in essa riconosce la sua inutilità, l’assurdità del proprio essere esistente.
Ovviamente questi saggi filosofici, e tutta l’opera del filosofo, vertono sulla natura dell'uomo in una prospettiva, come si direbbe, pessimistica e nichilista. Cioran tratteggia un uomo orgoglioso ma smarrito, superbo ma limitato, inconciliabile con la natura; che si trova nella storia, anzi c’è precipitato come un Lucifero, ne ha spezzato il silenzio e ora non è in grado di ristabilire l’auspicabile assenza dei suoni. Così cadendo, l’uomo si fa complice del tempo, della sua illusione di evoluzione, di progresso. E allora ci si chiede: il progresso è davvero un bene?
Ma un rimedio esiste al male dell’esistenza: la soluzione consisterebbe nella rinuncia a essere sempre bramosi di qualcosa (il debito verso Schopenhauer – ma anche alla filosofia orientale, a Nietzsche, a Bergson, a Pirrone - è evidente), alla preghiera, alla ricerca di senso. È un autore che scivola delicatamente nell’ascetismo, nella ricerca interiore, nella magniloquenza della solitudine. Il sacrificio della solitudine, l’elogio del nulla e della stasi, dunque. Soltanto quando l'uomo invade il nulla, diviene niente, può sperare di ottenere un margine di libertà.
Due righe sullo stile. Il tocco è prezioso. Ogni frase presa a sé ha il dono della perfezione dell'aforisma. Ciò non vuol dire che il pensiero sia sconnesso: è invece finemente logico, lucidissimo, e allo stesso tempo niccianamente sfrontato e categorico.

Un libro forse ancora inattuale; un libro violento!

30 ott 2011

I piccoli maestri - Luigi Meneghello (Romanzo - 1964)


"Fin da principio intendevamo bensì tentare di fare gli attivisti, reagire con la guerra e l'azione; ma anche ritirarci dalla comunità, andare in disparte. C'erano insomma due aspetti contraddittori nel nostro implicito concetto della banda: uno era che volevamo combattere il mondo, agguerrirci in qualche modo contro di esso; l'altro che volevamo sfuggirlo, ritirarci da esso come in preghiera". 

Romanzo rivisto nel 1976, frutto di una decantazione della memoria e dunque di una riflessione scevra da eccessive pulsioni emotive, è il racconto disincantato di un gruppo di amici, con le idee dietro la nuca e l’arditezza sotto il cuore, che si organizzano e si improvvisano agguerriti combattenti per affrontare e resistere al fascismo e ai tedeschi occupanti. L’io narrante, lo stesso autore, incantato dalle suadenze della memoria e al contempo disincantato dal tempo trascorso, ricorda quasi con malinconia i fatti di guerra successivi all'8 settembre fino alla liberazione. È dunque un romanzo resistenziale, tuttavia senza quella patina abietta di eroismo e retorica che in qualche modo ha falsato verità e riflessioni. Le riflessioni dell'io narrante, sebbene di un giovane (è evidente dalle continue citazioni la formazione filosofica dello scrittore di Malo), sono profonde perché disilluse, amare perché hanno scavato fino in fondo la terra dell’opposizione. I continui accenni ai ricordi, fulminee intermittenze del cuore, danno un ritmo incalzante e tracotante. La rievocazione in questo modo è quasi sempre amara, spesso malinconica.
I protagonisti, per lo più giovani studenti universitari e di vita, sono ragazzi improvvisati eroi (perché la storia così l'ha definiti) ma che di guerra, guerriglia e imboscate sapevano solo dai libri di storia e da brevi e inadeguati corsi addestrativi. Sono sbandati alla ricerca di una nuova strada, però attenti a snidare, tra le insidie di una coscienza che si trova di fronte gli orrori dell’odio e della guerra, la costruzione di una nuova Italia. È un romanzo di formazione se vogliamo; il racconto dell’evoluzione delle coscienze, ma, come si scriveva, senza retorica, senza esaltazione. Nulla, infatti, è solenne in questi ragazzi, anzi molto sembra impacciato. E siccome non si nasce imparati, come si dice dalle mie parti, si impara anche ad adattarsi alla guerra, all’armonia romantica con boschi, alla resistenza, all’idea del nuovo. 
Se non c’è retorica nel racconto delle azioni di battaglia, l’elogio invece è vivo nel desiderio di una libertà che alla fine si rivelerà momentanea, un periodo sospeso in cui trova tregua un’anima intrappolata tra le fauci della guerra e le illusioni di un futuro da progettare. Anche per questo, il romanzo mi sembra una piccola summa di ricercate contraddizioni, di sublimi opposizioni. Tra poesia e ironia (nonostante la grevità dell'argomento non manca la raggiante ironia meneghelliana), tra l'umiltà dei personaggi e la superbia delle parole, tra l’antiretorica dei fatti e le figure retoriche, tra l’antieroismo e il desiderio di un futuro migliore, il romanzo si spande brillantemente tra opposti che coincidono.

Un libro educativo, superbo.

23 ott 2011

Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio - Sigmund Freud (Saggio - 1905)


"Tutta una serie di motti di spirito osceni permette di concludere a una nascosta inclinazione dei loro autori all'esibizione. I motti di spirito con tendenza aggressiva riescono soprattutto bene a coloro nella cui sessualità si può dimostrare una forte componente sadica, più o meno inibita nella vita".

Quali sono i meccanismi che inducono al riso? Perché il motto di spirito, l’umorismo, la comicità sono specchi su cui si riflette il nostro bisogno di piacere? Imparentata con 'L'interpretazione dei sogni' (1900) e 'Psicopatologia della vita quotidiana' (1904), l’analisi freudiana segnala una salda relazione tra il motto di spirito, il sogno e quindi l'inconscio. Il motto di spirito, la battuta, il gioco di parole sono come i sogni: nascondono qualcosa, lo mettono in un angolo, magari girato con il viso verso il muro, ma non sempre riescono a zittirlo. L'inconscio, quest'essere mostruoso costretto alle catene in un rifugio cavernoso, riesce a urlare, a filtrare e imbastardire lo spirito della battuta. Così, per mezzo dello spostamento e della condensazione, i motti denunciano una insoddisfazione che solo il riso può liberare. Il desiderio è in eccesso rispetto all’appagamento e quando ridiamo è come se recuperassimo lo stato psichico dei bambini, e siamo felici, soddisfacendo le nostre pulsioni sessuali e aggressive.
Il libro, un po’ lento, particolarmente analitico, farcito di brillanti motti di spirito (esempi da cui iniziare l’analisi), è anche uno studio sul linguaggio, sul gioco possibile che parole condensate tra loro o semplicemente dislocate procurano una modificazione di senso, un difetto di ragionamento, e dunque il riso.
Trarre piacere è il fine della risata e con questo studio il padre della psicanalisi ne tesse le lodi.

14 ott 2011

Un eroe del nostro tempo - Michaìl Jùr evič Lermontov (Romanzo - 1840)


"A una prima occhiata il suo viso non rivelava più di ventitré anni, anche se dopo sarei stato pronto a dargliene trenta. Nel suo sorriso c'era qualcosa di infantile. La sua pelle aveva una certa morbidezza femminea; i capelli biondi, naturalmente ondulati, incorniciavano in modo assai pittoresco la fronte pallida e nobile su cui solo una lunga osservazione permetteva di notare le tracce di un reticolo di rughe che probabilmente diventavano molto più marcate nei momenti d'ira o d'inquietudine interiore".


L’ingegnosa e originale struttura del romanzo, che di volta in volta si tramuta in raccolta di racconti o in diario intimo, ha come protagonista Pečòrin, uno dei prototipi del romanzo moderno. Burattinaio, crudele, manipolatore psichico, sadico, stratega, Pečòrin è il seduttore che non riesce ad amare, l’uomo che non riesce a stabilire un’amicizia per la vita.
Senza seguire un ordine cronologico, un uomo in viaggio (bellissime le descrizioni dei panorami caucasici) riporta su un diario le storie narrategli su Pečòrin. Il romanzo inizia con la mielosa ed eccessiva romantica storia di Bèla, una bellissima ragazza rapita da Pečòrin per un suo ghiribizzo. La ragazza è costretta ad amarlo, e così sarà. Fino a quando, mentre Pečòrin avverte la noia del rapporto, Bèla sarà uccisa con una pugnalata alla schiena da un uomo che voleva vendicarsi per una malefatta subita. Maksim Maksimyč, amico di Pečòrin, insieme al narratore, suo compagno di viaggio, lo incontrano per pochi istanti durante il loro viaggio e ne avvertono la freddezza, la noncuranza, nonostante la fraterna amicizia. A questo punto Maksim Maksimyč, deluso dal comportamento dell’amico, affida al narratore il 'Diario di Pečòrin'. Nel diario si racconta di un furto subìto in una notte dal sapore mitologico; di un amico allievo ufficiale infatuato di una principessina moscovita, di come quest'ultima, con il calcolo e lo stratagemma, invece si innamori di un divertito e indolente Pečòrin; del duello con l'amico militare e la morte di quest'ultimo; di una scommessa dal sapore vagamente metafisico sull'esistenza della predestinazione.
L’amore, l’amicizia, la vita: fuochi destinati a spegnersi, a riscaldare fino a quando l’inevitabile noia con il suo vento ne spegnerà le fiamme. E la consapevolezza del suo cinismo, della sua insoddisfazione, della sua solitudine fa di Pečòrin uno degli eroi moderni.

12 ott 2011

Racconti - Edgar Allan Poe (Antologia - 2003)


"A volte, ahimè, la coscienza dell'uomo si carica di un peso d'orrore tanto grave, da non riuscire a liberarsene che nella tomba. E così l'essenza di ogni colpa rimane segreta".

Sin da quella lontanissima notte d'estate in terrazza, quando per merito di alcuni amici e di un racconto di Poe (mai potrò dimenticare la diafana 'Morella' - non in questa raccolta) capì per la prima volta che anche un racconto fantastico poteva essere veicolo di conoscenza e insieme sussulto, sin da quella notte di luna crescente l'opera del più grande scrittore americano è stata mia compagna inseparabile. Lessi, anzi divorai tutti gli scritti dello scrittore di Boston e il ricordo di quelle letture è parte di me. Poi qualche sporadica e mai sistematica rilettura, come i tizzoni che si ammucchiano sul fuoco per rianimare le fiamme. Rileggere oggi, dopo molti anni, alcuni dei racconti che hanno compiuto in me una vera e propria rivoluzione copernicana mi colpisce con una densa fragranza d’autunno, mista ad alcune gocce di malinconia. 
Donne affascinanti perché sfiorate dalla morte, uomini terrorizzati e nevrotici, doppi perseguitati, dimore decadute e maniacalmente descritte, deduzioni ovvie ma di ingegno, enigmi risolti con arguzia, il respiro della morte, della follia, dell’amore. Poe, filosofo e sociologo oltre che immenso scrittore e poeta, è uomo sì della prima metà dell’Ottocento, ma che è riuscito a vedere oltre e spingersi fino a tracciare lo stato di abbandono dell’uomo contemporaneo. Si coglie nei suoi racconti un malessere che non è solo dell'uomo Poe, ma dell'Uomo in generale. E così non solo il genio dello scrittore si fa interprete di un mondo e di un'epoca, ma ne anticipa i volti futuri, trasfigurati da una consapevolezza che li rende ancora più definiti nella loro nevrosi. Il protagonista poeiano, infatti, è un uomo nevrotico, disadattato, disgraziato, ansioso, solitario, e soprattutto ossessionato (caratteristiche che denunciano il carattere dell'Autore?). E se le descrizioni sono morbose, l’ossessione con cui scruta il tempo e i luoghi in cui sono calati i suoi protagonisti ne definiscono meglio la visione scomposta della società, sfaccettata e complessa. L’ossessione è il sostantivo che meglio definirebbe i racconti di Poe. I racconti sono dell'ossessione, del tormento. E l’uomo contemporaneo non è tormentato, ossessionato dal tempo e dagli spazi che occupa?
Se volete assaporare il brivido della lettura, consiglio sempre di leggere i racconti di Poe. Se dovessi indicare due racconti perfetti: 'L'uomo della folla' e 'Il cuore rivelatore' su tutti.

P.S. Da ricordare la ricca e intelligente introduzione di Barbara Lanati.

8 ott 2011

Erotikon - Charlotte Hill e William Wallace (Antologia - 1992)


"Il conflitto tra l'amore sacro e l'amore 'profano' è una creazione della religione giudaico-cristiana. Nell'induismo, al contrario, il sesso non è affatto ritenuto peccaminoso o vergognoso: è considerato dal buon senso comune un piacere di cui godere senza colpa mentre, dal punto di vista teologico, l'unione sessuale di Shiva e Parvati, il Dio e la Dea, è l'espressione della perfetta unità".

Se avete paura delle vostre reazioni fisiche (e pure intellettuali) quest’apprezzabile antologia illustrata dell'erotismo, ispirata all'arte figurativa e alla letteratura mondiale, non fa per voi. Il proibito, almeno ciò che una certa visione delle cose ci costringe a considerare tale, fa capolinea in queste pagine infiocchettate di pitture, incisioni, foto, racconti il cui tema principale è l’eros, il desiderio sessuale, il proibito appunto.  
L’antologia si muove sempre con lo stesso schema: brevi introduzioni tematiche annunciano brani scelti da opere erotiche letterarie, da quelle più antiche alle ultimissime del secolo scorso, farcendo i margini delle pagine con raffigurazioni che, sebbene delicate e ricercate, niente lasciano all’immaginazione. Alcune riproduzioni sono pregevoli oltre che gustose e lasciano trasparire, così come i passi dei romanzi scelti, l'ironia e il sorriso appena accennato nel raccontare o raffigurare le proprie esperienze sessuali. È anche da notare la differenza di vedute tra la puritana civiltà occidentale e quella emancipata orientale… 

Insomma, se siete pudichi o perbenisti, se vi vergognate di fronte a deliziose immagini di atti erotici o di fronte a seducenti racconti di sesso, non leggetelo, non sfogliatelo nemmeno, potrebbe solleticare troppo i vostri sensi e indurvi in tentazione.

6 ott 2011

Il Dr. Jekyll e Mr. Hyde - Robert Louis Balfour Stevenson (Romanzo - 1885)


"In quel momento pensai a un'idiosincrasia, a un'avversione personale, e mi meravigliai soltanto dell'acutezza dei sintomi; ma in seguito ebbi ragione di credere che il motivo di quell'avversione giacesse nel profondo della natura umana e che nascesse da qualcosa di assai più nobile che il sentimento dell'odio".

Tutti conoscono lo strano caso dello scienziato che per mezzo di una bevanda di sua invenzione si tramuta in un malvagio signore inglese. La storia è avvincente, si legge d'un fiato e la sua scrittura elegante gli conferisce ancor di più il merito di essere un racconto di successo. Lo scrittore scozzese ci ha offerto un capolavoro senza età, un racconto all’apparenza semplice e disincantato, ma che invece possiede un alchemico miscuglio di inventiva, riflessione, severità. 
Il tema del doppio (argomento quanto mai prolifico in quegl’anni e nei seguenti) non è solo la lotta tra bene e male. È la constatazione manichea della contrapposizione dualistica tra corpo e volontà, tra costrizione sociale e libertà, tra Eros e Thanatos, tra ordine e distruzione, che tuttavia si fondono a forgiare l’Uomo. Un romanzo degli opposti in breve; opposti che si combinano però, denunciando la molteplicità e l’ambiguità della personalità umana. Personalità multiple che, se colte, annientano l’equilibrio ottenuto dall’ottusità dell’ignoranza. Solo quando morirà il dottor Jekyll, diventato definitivamente signor Hyde, la sua sordida vita potrà trovare quiete e lindore...
Oltre ad essere un romanzo finemente psicologico, il capolavoro di Stevenson è anche un romanzo sociale. Di fatti, la Londra sfarzosa sull’orizzonte (modello di un mondo occidentale fiducioso e in pieno sviluppo economico e sociale), all'occhio dello scrittore nasconde un animo catramoso e agghiacciante. I suoi cittadini sono quasi sommersi dall’opulenza, ma in realtà dietro agli angoli si trovano quartieri malfamati: gli antri di cui è meglio tacere dove il male trova libero sfogo. E in questa luce macchiata da foschi cantucci, l’uomo vi si perde: una pedina inconsapevole che si muove obbligata da una forza invisibile, ingovernabile, insondabile. 

Un classico intramontabile.

4 ott 2011

Il pornografo - Restif de la Bretonne (Saggio - 1769)


"Ripeto: l'attuazione di questo progetto presenterà qualche inconveniente. Ad esempio sembrerà legalizzare la prostituzione, che ora è solo tacitamente tollerata. Ma questo fatto inevitabile è davvero un inconveniente? E, qualora lo fosse, non è forse abbastanza compensato? Si opererà un bene effettivo e il male sarà, per così dire, solo teorico". 

Non è vero che la verità attecchisce e trionfa nel tempo (e la mancanza non è della verità, ma dei limiti umani). Ad esempio, un certo moralismo, specie in Italia, ha ancora una prepotente voce in capitolo e riesce a manipolare con astuzia (ma senza la ragione della storia e dell'evidenza) le 'coscienze' di uomini e donne, elettori ed elettrici, che si affidano solo all'autorità di una tradizione più e più volte smentita. Una condizione, oggi, che diventa insopportabile soprattutto perché oramai ingiustificabile. 
I tanto biasimati libertini del '600 e '700 furono i primi, riesumando pensieri dimenticati poiché scomodi, a togliersi i paraocchi e a cercare di smantellare a colpi di urlanti parole il viscido moralismo che dopo secoli si era incollato sotto il cuore dell'uomo. Restif de la Bretonne è stato, con cognizione o no, uno dei promotori di un senso di libertà che adagio ha spolverato sul suo mantello la polvere dell'ipocrisia. Certo, sulla sua figura e sul suo pensiero libertino e illuminista molto si può scrivere e condannare, ma non è questo il luogo opportuno. Concentriamoci invece su uno dei suoi scritti più celebri.
Il tema della prostituzione (il termine ‘Pornografo’, di invenzione dello stesso Restif, vuol dire ‘scrittore che parla di prostituzione’), argomento di fondo delle lettere di quest’opera, seguendo i dettami della Storia e della relatività della morale, propone (scandalosamente, è vero, ma con una logica raffinata) la soluzione del problema della sifilide e della clandestinità. Accantonati bigottismo e pregiudizi, lo scrittore francese sostiene che la prostituzione debba essere regolamentata. Illustrando la sua volontà legiferatrice e i vantaggi e l'utilità conseguente, l'autore analizza l'obbrobrio che vige falsamente nella società moderna.
Attenzione: la prostituzione non è esaltata come un bene. È invece un male necessario, da cui si può essere in grado di sciogliere preoccupazioni ben peggiori e dissolute. 
Certo, il regolamento che l'autore propone ha poco di tollerante, ammende e punizioni corporali sulle prostitute disoneste, e il progetto letterario pecca di noiosa pedanteria (si suggeriscono persino le tariffe...). Le dissertazioni, spesso monotone, sono colorate dai resoconti amorosi e pudichi che l'autore delle lettere scrive a un amico lontano. È bene notare che i promotori della regolamentazione sulla prostituzione sono castissimi e timorati di Dio. 

Un libro sulla tolleranza e sul buon senso se vogliamo, ma non del tutto…

1 ott 2011

Cavour - Italo de Feo (Saggio - 1969)


"Come uomo politico, intese la politica quale essa deve essere: obbligo morale per il cittadino. Egli non fu soltanto un grande statista, il più grande, come universalmente è riconosciuto, fra quanti ebbero l'Europa ed il mondo nel secolo scorso".

Il Risorgimento è un momento storico di straordinaria importanza per noi italiani. Non è un caso che la bibliografia sul processo di unificazione italiana e sui suoi protagonisti sia sterminata. Tuttavia non sempre è pertinente, misurata, scientifica. Dietro i paraventi della retorica o della denigrazione spesso si nasconde la verità e il fastidio che può indurre. 
In questo saggio dal sottotitolo 'L'uomo e l'opera', la figura del conte di Cavour, un mostro politico divenuto mito, è pennellata con sensatezza e insieme passione. L’autore - solo per curiosità, autore di sinistra - fa largo uso (forse troppo) di citazioni dai diari e dalle lettere di Cavour e dei suoi parenti e amici, e nel riferire la grandezza diplomatica del piemontese alle volte sembra descrivere la biografia di un santo, di un genio (quale credo fosse), e sembrerebbe quasi patteggiare (e non mi spiace l’idea) più per il conte che per un Mazzini o un Garibaldi. Ma Cavour, si sa, non era un santo nel senso stretto del termine. Dai racconti dei suoi amori, della sua passione per il gioco, delle opere filantropiche e delle azioni politiche si tratteggia un uomo dal carattere deciso, puntiglioso, orgoglioso, anticonformista, brillante e ribelle. Sebbene di nobili natali, Camillo è un liberale, vicino all'utilitarismo di Bentham, si è battuto per la modernità, per idee di progresso che si scontravano con la Roma papalina ancorata a un pensiero bieco e superato; un santo laico insomma (forse oggi si direbbe laicista...), che con vigore, passione e soprattutto intelligenza, ha fatto l’Italia. 

25 set 2011

Gaspard de la Nuit - Aloysius Bertrand (Poema in prosa - 1836)


"Dodici maghi danzavano un girotondo sotto la grande campana di Saint-Jean. Uno dopo l'altro evocarono la tempesta, e rintanato nel mio letto contai spaventato dodici voci che in processione attraversarono le tenebre".

Ispiratosi evidentemente alla drammaticità di una certa pittura e al fantastico romantico di Hoffmann, tanto che il sottotitolo recita: 'Fantasie alla maniera di Rembrandt e di Callot' - il primo a simboleggiare i chiaroscuri dell'interiorità, il secondo la forma dell'apparenza –, Bertrand ci anticipa alcune delle successive idee 'maledette', simboliste e surrealiste. Opera sperimentale, alchemica direi, in cui si incontrano e coagulano fantasie medioevali, pittura, musica, poesia, prosa, filosofia.
Il narratore incontra un misero uomo con il quale intavola una discussione filosofica sulla poesia e sull'arte. Non esauritasi, il misterioso uomo consegna al narratore un libro, 'Gaspard de la Nuit' appunto, il cui autore è lo stesso uomo, il diavolo in persona si verrà a sapere poco dopo. Il libro (costellato da infiniti spazi bianchi e diviso in sei libri, e il terzo, così lunare e misterioso, è il più affascinante) si articola in un caleidoscopio di brevissimi racconti, pennellate pittoriche su luoghi rivisti nei ricordi, territori notturni e spettrali, lune piangenti e gnomi malefici. Tutto questo nel tentativo di trovare e carpire il valore e il senso della poesia. Ma gli elementi romantici sono ancora troppo forti: Dio, Amore, Natura, Storia, Sentimento, Idea, sono tutti concetti vetusti e superati.

Nonostante l'originalità della forma e della poetica, il poema puzza di vecchio. Un fiore magari, ma decomposto (non in senso baudelaireiano).

23 set 2011

L'ABC della relatività - Bertrand Russell (Saggio - 1958)


"Non essendo Giosuè, non possiamo far stare fermo il sole mentre lo misuriamo; se vogliamo calcolarne le dimensioni, dobbiamo farlo mentre è in moto relativamente a noi. E analogamente, se vogliamo calcolare le dimensioni di un elettrone, dobbiamo farlo mentre è in rapido movimento, dato che l'elettrone non sta mai fermo un momento. Questo è il tipo di problema cui si riferisce la teoria della relatività". 

Capire la teoria della relatività ristretta e generale di Einstein non è per nulla semplice. La difficoltà nel descrivere l’universo in termini relativistici dipende dalla nostra abitudine di vedere il mondo sotto una prospettiva newtoniana. E quindi, al di là delle formule matematiche, concepire concetti come ‘spazio-tempo’, ‘evento’ o ‘intervallo’, mostrando le insufficienze delle leggi di Newton, risulta quanto mai problematico. La grandezza di Russell si risolve e cristallizza quando ci fermiamo un attimo a pensare: è possibile spiegare una nozione difficilissima, filosofica o scientifica che sia, avvalendosi di semplici paragoni e rischiarando così di luce solare la notte dell’astrusità einsteiniana? Russell, e solo lui può, ci riesce così superlativamente.
Tuttavia, sebbene Russell sia di una chiarezza straordinaria (e non mancano esempi e battute spassosi), il libro, testo divulgativo che si limita a descrivere i misteri della luce e della sua velocità senza utilizzare quasi mai la matematica, merita una buona dose di attenzione. 

20 set 2011

Dal naso al cielo - Luigi Pirandello (Racconti - 1925)


"E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore".

Altro capitolo delle 'Novelle per un anno'. Se dovessi trovare un seme comune, tra tutti, direi che il valore del dubbio e della relatività della conoscenza ne sia il principale. Spesso, nell'assaporare il gusto acerbo delle riflessioni di umili uomini, si riconosce una profondità paurosa, quella del limite dell'uomo: la vera causa che impedisce alla verità di attecchire. Di fronte ad essa, non sempre vittoriosa, la respingiamo e siamo costretti a convivere con l'illusione della convenzione. Ci sono inoltre differenze tra uomini, distinzioni sociali anche, in grado di sottomettere e impaurire, e quindi di allontanare la veridicità.
In quasi tutti i racconti, sono gli astri che meravigliano, che ti accompagnano con dolcezza nelle oscurità del pensiero. E si scopre che la vita è fatta di passioni, di caos pure. Ma il disordine, si sa, è categoria ritenuta dai più segno di colpevole sciatteria. Ecco perché molti personaggi pirandelliani sentono un impellente bisogno di sistemare ogni cosa, di rimediare alle male fatte: gli altri, o la nostra educata coscienza, sempre perfetti e ordinati, avrebbero qualcosa da ridire e deridere. La convenzione è ordine che occorre rispettare!

'Certi obblighi' e 'Ciàula scopre la Luna' sono i racconti che più ho ammirato. 

18 set 2011

Memoriale del convento - José Saramago (Romanzo - 1982)


"Oltre alla conversazione delle donne, sono i sogni che trattengono il mondo nella sua orbita. Ma sono ancora i sogni che gli fanno una corona di lune, per questo il cielo è lo splendore che c'è dentro la testa degli uomini, a meno che non sia la testa degli uomini il vero e unico cielo". 

Siamo in Portogallo, tra Lisbona e Mafra, ai primi del Settecento. Ci troviamo durante il regno di Giovanni V, il sovrano che, circonvenuto da un frate, ottiene dal Signore una figlia in cambio di un convento francescano. Ma i regnanti e la costruzione del convento sono sullo sfondo per tutto il romanzo, come simbolo di vanità, di ecclesiastico monito. I veri protagonisti sono invece Baltasar Mateus, il Sette-Soli, ex soldato che perse la mano sinistra in battaglia; Blimunda, poi chiamata la Sette-Lune, dotata di oscuri poteri che le permettono di vedere attraverso la materia; e padre Bartolomeu Lourenço de Gusmão, il Volatore, un prete che si abbandona al dubbio più che alla fede, uno pseudo scienziato che ha un unico scopo nella vita: vedere l'uomo volare. 
In breve la trama: Baltasar conosce Blimunda e s’innamorano durante un triste auto da fé (descritto meravigliosamente). Poco dopo Baltasar, insieme a Blimunda, si lascerà convincere da Bartolomeu ad aiutarlo nel suo progetto di costruzione di un uccello meccanico in grado di volare. S’intrecciano storia e finzione, forza di desiderio e vanità tra viaggi alla ricerca di conoscenze alchemiche, volontà di condannati a morte da imprigionare in vasi di vetro, visite e musiche di Domenico Scarlatti, odori di eresia fiutati dall'Inquisizione, un breve viaggio volante su un uccello meccanico che porterà i tre a dividersi, un tragico incidente che separerà i due innamorati per nove anni, per poi ritrovarsi in un emozionante finale mentre Baltasar muore sul rogo.
Non lo scritto migliore di Saramago. Storia a tratti sonnecchiante, forse perché un po' lunga. Spiccano l'ironia sin dalle primissime battute e le fulminanti frasi a marcare l'ignoranza e la creduloneria di un tempo, spesso partorita dalla religione. Lo stile del portoghese lo conosciamo: periodi lunghissimi sempre ben orchestrati - spesso non si vede un punto in una pagina -, prosa alta e popolare insieme, ma in questo romanzo ho fatto più fatica ad addentrarmici. Curiosità: il tempo verbale è il presente, anche se non manca l'imperfetto.

15 set 2011

Sade prossimo mio - Pierre Klossowski (Saggi - 1947)


"Al punto che si potrebbe vedere in Dio il colpevole originario che avrebbe attaccato l'uomo prima di esserne attaccato: l'uomo avrebbe in tal modo acquisito il diritto e la forza di attaccare il suo simile. Ora, tale aggressione sarebbe talmente incommensurabile da legittimare per sempre l'impunità del colpevole e il sacrificio dell'innocente".

Preceduto da ‘Il filosofo scellerato’ (1967), tortuoso saggio nel quale si riprende il primo, provando a correggerne un'impostazione reputata forzata, Klossowski prova a sviscerare il pensiero sadiano. Il marchese de Sade, lo sappiamo, non è un autore per tutti. Scellerato e radicale, Sade ha il merito di tracciare marcatamente un confine logico al suo pensiero. Se Dio non esiste, e l'uomo è desiderio e passione, non esiste alcun freno al bisogno di soddisfacimento e quindi è ammissibile quello che comunemente è definito crimine. Però Klossowski, quasi a redimerlo, ritiene lo scrittore francese preoccupato delle conseguenze aberranti della sua ragione. E in tutto questo ne sonda le contraddizioni. Lo scopo sadiano è la 'mostruosità integrale', l’annullamento totale del necessario prossimo. La sodomia, ad esempio, è considerata sublimemente (e non a torto) l'atto trasgressivo per eccellenza, un atto filosofico. Per mezzo di esso si annullano le norme della coscienza, si dimostra l'ateismo e, qui la contraddizione, non si procrea; non si ottiene il prossimo, l’oggetto del desiderio.
Specie nel saggio del ’67, le interpretazioni del critico del pensiero sadiano potrebbero essere forzate e mal comprese. Alle volte si ha l'impressione che sia lo stesso filosofo a forzare il ragionamento sadiano. A tratti è oscuro. Le riflessioni sono difficili, soprattutto se non si conosce l'opera e la filosofia sadiana e se non si ha dimestichezza con la dialettica hegeliana. La scrittura del filosofo francese di origine polacca inoltre è infarcita di termini non facili e la lettura diventa greve.
I saggi del 1947, invece, sono meno ruvidi, sia nello stile sia nei contenuti. La lettura è molto più scorrevole e l'eterogeneità degli argomenti spezza la complessità delle riflessioni. Vuole essere evidente come il radicalismo sadiano porti all'autodistruzione. È la stessa utopia del marchese a mettere in luce le ombre del radicalismo. In questi saggi l’atteggiamento klossowskiano è hegeliano. I crimini sono giustificati solo a patto di cadere in contraddizione. Il libertino uccide Dio. Morto questo, crolla la divinità del re che era stato insignito per volontà divina. Ne consegue che il popolo, con il parricidio della Rivoluzione, diventa sovrano e criminale. Rovesciato il re, però, la società si mantiene solo restando nel delitto e nel Terrore. Il prossimo che si vuole annullare diventa dunque indispensabile per ottenere un equilibrio. Il nulla che si vuole ottenere deve necessariamente distruggersi. 

13 set 2011

Taccuino di un vecchio sporcaccione - Charles Bukowski (Racconti - 1969)


"quel che sto cercando di dirvi è che la ragione per cui la gente va alle corse è perché è in agonia, eggià, ed è così disperata che preferisce correre il rischio di prolungare l'agonia piuttosto che affrontare la sua condizione attuale. e i giovani non sono così scemi come si pensa. stan seduti in cima ai monti a studiare il moto vorticoso delle formiche".

Nati come pezzi per un giornale, Bukowski si sente libero di sfogare la sua rabbia. Una libertà che si trasfigura e si rivela nella sintassi: i periodi sono spesso lunghissimi e tantissimi, allo stesso modo i periodi nominali, dopo il punto non esiste la maiuscola e le frasi sono cariche di turpiloqui e imprecazioni. Lo conosciamo già questo scrittore. Ci ha deliziato con libri sorprendenti per indipendenza e riflessione; questo però un po' delude. Sfrontato, forse un po' troppo, un tocco di disorientante visionarietà, ci sono troppi fatti (molti nemmeno densi e ricchi) e poco spazio al pensiero. I racconti senza titolo, come per gli altri letti in passato, si concludono spesso con finali spiazzanti, persino poetici. Ma a differenza degli altri, nonostante le stesse tematiche, lo stesso genere di storie, sono più sporadici.
Un'ombra scura di pessimismo si staglia sullo sfondo della vita dello scrittore americano. La sua è un’esistenza dedita alla ribellione, ma non è così ragionata come si penserebbe; è istintiva, genuina, immediata, quasi fanciullesca. Lo scrittore americano è una foglia in balìa del vento. Istinto e desiderio, desiderio e istinto vanno caldeggiati, vezzeggiati, corteggiati; l’alternativa sarebbe la schiavitù.

Un libro più da 'beat generation' che dal Bukowski che più apprezzo. 

12 set 2011

Storia e cultura dell'Illuminismo - Norman Hampson (Saggio - 1968)


"L'Illuminismo fu un atteggiamento mentale, più che un orientamento scientifico e filosofico. Pochi seguirono da vicino le discussioni intellettuali che si svolgevano fra un pugno di uomini a Londra e, soprattutto, a Parigi; e ancor meno furono coloro che accettavano tutte le conclusioni dei pensatori più rivoluzionari".

Già alle medie, quando per la prima volta sentii parlare di Illuminismo, di primato della ragione, di fiducia e di progresso, subii un fascino tutto particolare, nuovo, verso il valore della ragione contro le superstizioni. Insieme alla mia passione per l'astronomia in quegli anni, le idee ‘illuminate’ mi diedero un senso di speranza e ottimismo. Capivo che l'uomo poteva evolversi, migliorarsi, grazie alla ragione e alle sue scoperte. Afferrare inoltre quanto forte fosse il legame strettissimo tra le scoperte galileiane (Galilei era già un idolo per me) e gli sviluppi filosofici e culturali che si diramano fino a oggi ma che nel XVIII secolo furono incendiari, mi portarono a definirmi, per quanto potesse valere per un adolescente, un discepolo dell'Illuminismo. Certo, le successive letture, ad esempio humeiane, il sentimento progressivo di sfiducia verso l’uomo e i suoi limiti, così come il fascino romantico per l'individuo e l'infinito mi destabilizzarono non poco. Ma quello fu solo un attimo di sgomento. Mi bastò una banale riflessione per ritornare a subirne il fascino: era pur sempre per mezzo della ragione, del linguaggio con cui essa si esprime, che quelle riflessioni sui limiti delle possibilità intellettive dell'uomo erano state compiute. E se la seduzione del volere della potenza dionisiaca mi portò a superare certi confini (nonostante la distanza dalla mia vitale necessità di ordine), trovai una sintesi tra i due estremi. E come summa di contraddizioni arranco sulle pareti montane dei confini umani…
Questo per dire che anche il secolo dei Lumi, essendo secolo di fatti e d’idee degli uomini, ha comunque i suoi limiti e le sue contraddizioni. Lo storico inglese non si tira indietro, e nel suo lavoro cerca di descrivere, districandosi tra le incoerenze, le difficoltà di definire un secolo talmente luminoso da abbagliare e rendere ciechi. Il professore è anche attento a rilevare quanto il secolo della luce non si affermi per puro caso. Le sue radici affondano almeno nei due secoli precedenti, i quali, dopo numerose scoperte scientifiche e intuizioni filosofiche, furono prefazione necessaria per accendere la fiamma dei lumi. Le scoperte geografiche, e lo spiazzamento conseguente, le scoperte scientifiche, soprattutto astronomiche, furono la causa di un turbamento europeo che sconquassò il pensiero degli uomini. La deflagrazione delle scoperte scientifiche inoltre generò un doloroso rinculo che colpì la spalla della religione. Dietro la fronte degli illuminati s’incendiarono idee, visioni, e il mondo cambiò. La vivacità della nuova cultura diventò simbolo di potenza e la gara tra i regnanti a chi poteva pavoneggiarsi meglio con le piume colorate della cultura portò inevitabilmente alla sua diffusione. E tuttora resta il fascino di un’epoca che da lontano ci sussurra la bellezza della conoscenza.

L’opera è divulgativa, ben congegnata, scevra da eccessi di entusiasmo, onesta per le considerazioni dello storico sulle difficoltà di definire in generale un periodo e la scrittura è scorrevole e gradevole.

10 set 2011

Quando Teresa si arrabbiò con Dio - Alejandro Jodorowsky (Romanzo - 1992)


"Con lentezza, delicatezza e tenerezza, l'uomo entrò nella donna che andò aprendosi sempre più fino a perdere i limiti e a confondersi con la terra interna. Il seme scese verso il fondo del pianeta e cadde in un abisso oscuro dove danzavano le galassie. L'universo assorbì la pioggia di fuoco. Felicità era incinta. Ivan poteva scomparire".

Visionario (come i libri della Torah, più volte citati nel romanzo), lo scrittore cileno ci racconta, in un’eclettica quanto fantastica autobiografia, la saga della sua famiglia di origine ebraica. Dalla parte paterna racconta di un nonno pazzo e votato alla fede, di una nonna sorella di una ragazza nata nella fossa di un cimitero per sfuggire alla Morte innamorata e gelosa del padre, di quest'ultimo sempre circondato da un nugolo protettivo di api, di rapporti incestuosi, di sereni suicidi, del cognome ebraico cambiato nel polacco Jodorowsky, del viaggio in Cile. Dalla parte della madre, invece, i racconti genealogici sembrano meno fantasiosi ma pur sempre particolari. Viaggi della memoria nella Spagna del XV secolo, violenze carnali, castrazioni, leoni che sanno leggere i testi sacri, zoofilia, scarpe millenarie, scioperi operai…
E la storia, tra avventure e disavventure, tra realtà e fantasia, sembra avere un fine, uno scopo, una redenzione: la ricerca di una terra promessa, di un discendente che fosse in grado di raccontare la storia dei suoi avi.
Carico di immagini e metafore, molte delle quali bellissime, colpisce l'ironia con la quale lo scrittore e regista narra la storia della sua famiglia. Persino l'elemento blasfemo, l'odio della nonna Teresa per Dio, che è una costante per quasi tutto il romanzo, sebbene sia di stimolo per la riflessione, sotto sotto non può non suscitare una risata tra i baffi.
Interessante il paratesto dei primi due capitoli: spazi bianchi a staccare i capoversi per dare il ritmo alle allucinanti visioni. Peccato che i lunghi capitoli successivi riprendano una forma più classica e quindi meno digeribile. 

Per diversi motivi, primi tra tutti un eccesso spasmodico di fantasia e un ritmo esagerato ed esagitato, mi viene in mente il capolavoro marqueziano (se non altro per molti) ‘Cent'anni di solitudine'…

8 set 2011

Sigmund Freud - Ludwig Marcuse (Saggi - 1956)


"I più celebri irrazionalisti tedeschi, Novalis, Schopenhauer, Nietzsche, Freud, furono soprattutto adoratori della ragione. Non lo si nota, perché gli illuministi classici trascurarono i continenti oscuri; da allora sembra obbligatorio definire l'illuminista come uno che ignora le zone oscure della coscienza e il romantico come uno che ne ignora le zone chiare. Freud vide in quell'oscurità, la descrisse, la misurò, la trovò possente, e fu adoratore del sole, un credente nella ragione".

Ludwig Marcuse (da non confondere con Herbert, altro freudiano) con questo studio cerca di definire un profilo psicoanalitico del padre della psicoanalisi. Il ritratto che ci dà, per ovvi motivi, ormai non ci sorprende. Timido, nevrotico, musone, epicureo, filosofo e scienziato insieme, moderato, Freud è combattuto tra la libertà della libido e il conformismo borghese; tra l'Es e il Super-Io. Molti curiosi aneddoti biografici servono, chiaramente, all’autore per sostenere e definire le sue tesi, allo stesso modo sfrutta la propria notevole cultura - che si evince dalle continue, curiose, appropriate citazioni disseminate nei saggi. Cerca di inquadrare Freud e la psicanalisi in un contesto storico preciso, di accostarlo ad autori e filosofi che prima di lui avevano intuito la possibilità di un inconscio non metafisico, cerca persino di avvicinare il concetto di angoscia di Freud a quello di Kierkegaard.
Molte notizie e interpretazioni, se forziamo un po’ l’analisi, collimano con quelle di Onfray, senza però mai sfociare nella denigrazione. Marcuse è uno studioso che venera Freud, si intuisce senza sforzo, ma che allo stesso tempo si riserva la possibilità di criticarlo.
Commento brillante su Freud, da leggere con gusto, tuttavia oggi non più originale.

7 set 2011

Piccolo testamento - Gabriele Dadati (Romanzo - 2011)


"Io alzavo ogni tanto lo sguardo dai fogli e lo posavo sui tetti del centro storico da una prospettiva vertiginosa di cui non avevo mai fatto esperienza prima. Vittorio aveva l'abitudine di tenere gli occhi socchiusi mentre mi stava a sentire in silenzio. Tutto questo era una liturgia".

Una spocchiosa notte insonne, la ressa dei ricordi di un carissimo amico morto da poco, la passione per la scrittura, l'amore finito per una non dimenticata Marta.
Scrittore a tratti acerbo ma promettente...

6 set 2011

Giocatori - Don DeLillo (Romanzo - 1977)


"Pammy dovette posare il sacchetto di frutta per aprire la porta. Si ricordò di che cosa l'aveva turbata, una vaga presenza. La sua vita. Odiava la sua vita. Era una cosa modesta, però, una piccola seccatura. Tendeva a dimenticarla. Quando cercava di ricordare che cosa le era frullato per la testa, le bastava capire di cosa si trattava ed era contenta che non fosse qualcosa di peggio"

Sebbene per me la monotonia e il suo compagno, l'ordine, siano gli unici rimedi, gli unici strumenti di sopportazione, seppur illusori, al devastante caos della vita, le raffigurazioni della banalità della monotonia mostrati dallo scrittore americano, di origini italiane, possiedono un che di profetico, quasi apocalittico; un che di insopportabile. Il romanzo vuole essere, di fatto, un affresco del disagio e della nevrosi della società contemporanea statunitense. E l’attenzione verso il tema dell'alienazione, del diventare altro, espresso nella dissacrante messa in scena delle quotidianità del mondo moderno, ha di certo un’andatura postmoderna. 
In una confusionaria New York sullo sfondo, Lyle e Pammy, una coppia di sposi, vivono una vita normale, moderna, socialmente accettabile. Ma è una vita dove domina la routine, dove ogni cosa è misurata, e li porta a essere calcolatori, attenti alla precisione e ai numeri; che li porta all'insoddisfazione. Stanchi e annoiati, come in un gioco di disalienazione, Lyle troverà un'amante e, interessato a un attentato terroristico a cui aveva assistito, diverrà agente dell'FBI e, contemporaneamente, di un gruppo terroristico; mentre Pammy deciderà di partire con una coppia di gay diventando l'amante di uno dei due.
Il racconto della consuetudine, della quotidianità dei protagonisti (immagino volutamente) è scialbo, a momenti quasi noioso. La scrittura invece è scorrevole, a tratti nervosa, soprattutto quando l'autore vuole descrivere le nevrosi della velocità cui l'uomo contemporaneo è assillato. I colori delle sensazioni dei protagonisti, specialmente quelle erotiche, sono le parti più intense e gustose del romanzo.

Un altro postdatato grazie.

3 set 2011

Essais - Michel de Montaigne (Saggi - 1595)


"Dipingendomi per gli altri, mi sono dipinto con colori più netti che non fossero i miei primitivi. Non son tanto io che ho fatto il mio libro quanto il mio libro che ha fatto me, libro consustanziale al suo autore, di un'utilità personale, membro della mia vita; non avente per fine l'utilità di terzi ed estranei, come tutti gli altri libri. Ho forse perduto il mio tempo ad essermi reso conto di me tanto continuamente, tanto accuratamente? Di fatto, quelli che si ripassano solo mentalmente e oralmente, di tanto in tanto, non si esaminano né si penetrano così compiutamente come colui che fa di ciò il proprio studio, la propria opera e il proprio mestiere, che si impegna a un'annotazione costante, con tutta la sua fede, con tutta la sua forza".


Alcuni autori, alcune opere sono e resteranno immortali. Montaigne e la sua opera si trovano, senza alcun dubbio, nella schiera di quei classici che tutti dovrebbero conoscere; un classico che difficilmente smetterà di essere attuale. Siamo di fronte a un’opera capitale, a una delle espressioni più autentiche che la filosofia ha potuto concepire. Non è facile scrivere o prendere appunti in poco spazio su un'opera monumentale come questa. Due volumi di circa 800 pagine ciascuno, di saggi densissimi - parecchi sublimi - che discorrono dei temi più disparati: della vita e della morte, delle malformazioni fisiche e di quelle intellettuali e caratteriali, delle virtù e dei vizi… Dalle malattie personali di Montaigne, dalle sue esperienze di vita (dolorose o felici), dai suoi studi, scaturisce l'intimissima introspezione, il ragionamento chiaro e distinto che il francese ha trascritto per innalzare la filosofia su vette di assoluta freschezza e sublimità. 

Il filosofo visse in una Francia devastata dalle guerre di religione, mentre era stata da poco scoperta l'America, e il peso della storia non si può non avvertire. Ecco che allora la grandezza di Montaigne tuona nella sua originalità. Se relativismo e tolleranza diventano principi assoluti, scetticismo, stoicismo, epicureismo diventano i maestri di vita da cui prendere esempio. 
Coltissimo e appassionato di storia (come del resto i suoi non nascosti maestri, Plutarco e Seneca), capace di definire i suoi pensieri attraverso efficaci esempi storici, Montaigne studia se stesso per studiare l'uomo, eppure non è così categorico da assurgersi a modello universale. Sincero, intimo, umile, libero, è un uomo che conosce i propri limiti (e su cui scherza), e non pretende di essere l’'uomo'. 
È naturale che nelle sterminate pagine dei saggi piccole contraddizioni, fulminanti paradossi, compaiano e squarciano in due il nostro pensiero. Rapsodico, frammentario, il filosofo illumina le sue contraddizioni - e quindi quelle dell'uomo - in modi che non mi scandalizzo a definire modernissimi, addirittura postmoderni. Reputo il palesarsi della contraddizione, e il palesarla consapevolmente, sinonimo di piena grandezza. Non è l'uomo una summa di contraddizioni? Non è la vita stessa un paradosso? Sarebbe poco onesto se rispondessimo negativamente.
Anticipatore di idee illuministe - evidenti nel tema del valore del dubbio, nella descrizione dei limiti teoretici dell'uomo, nell’amore per la conoscenza, nel distacco critico dalle assurdità della religione (certo la fede in Dio è forte, ma questo non vuol dire per Montaigne che questa debba necessariamente essere sinonimo di assoluto assoggettamento, anche perché se, oltre l'odio, la guerra, i massacri, il cristianesimo ha conseguito un risultato, di certo lo scorgiamo nello stimolo che ha portato scrittori e filosofi a considerare compiutamente temi quali la tolleranza e il relativismo) -, il capolavoro di Montaigne, con confessioni intime e per nulla presuntuose, nel piacere della lettura ci lascia una sensazione di smarrimento, di placido spavento. Si avverte uno spessore spiazzante, come se ci trovassimo davanti a una miniera di diamanti.
Due parole sullo stile. Se la freschezza della classicità si trova nella straordinaria conoscenza della storia romana, nello stile, nel richiamo esplicito a Plutarco, Seneca, Orazio, Cicerone, Epicuro, la modernità si trova nella struttura, nelle idee, nel profondo relativismo. Le pagine più belle, ovviamente, sono quelle in cui lo stesso filosofo si racconta. Alcune sono da imparare a memoria!

Per fortuna esistono libri di tale spessore.

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