Composto da due non lunghi saggi, gli scritti di questo volume che il grande storico pavese ci lascia sono ingegnosi e certamente ironici. Soprattutto il primo direi: il saggio dedicato all'importanza e ai meccanismi del pepe nel Medioevo. Qui l’umorismo è indirizzato sul modo di fare storia degli storici. Persino le note a piè di pagina disegnano le linee del comico. Non scarseggiano nemmeno le battute sui colleghi e sulle definizioni che questi hanno dato sui concetti studiati. Non è un caso che per spiegare il Medioevo e il suo sviluppo, il grande storico analizzi le influenze che il pepe ebbe nell’arco dell’intero periodo, mostrando come si possa fare storia, pure dell’ottima storia, prendendo come pretesto qualsiasi fonte e qualsiasi aspetto economico e sociale. Cipolla si diverta (e diverte) nel descrivere (e nel prendere in giro) gli aspetti sociali ed economici che sarebbero stati condizionati dalla scarsezza o dall’abbondanza del pepe nella società europea, dalla caduta di Roma al Rinascimento. Il pepe avrebbe contribuito allo scontro nel Medioevo tra Occidente e Oriente (una spezia che faceva gola a molti europei, santi soprattutto, e che li indusse alle Crociate), e dopo alle guerre europee, specie quella dei Cent’anni, che avrebbero segnato per lungo tempo le sorti dell’Europa. È, in breve, una velocissima e spassosissima digressione che abbraccia l'intera storia medievale che considera il pepe un elemento indispensabile per capirla. Come dire: una spolverata di pepe sta bene su ogni storia.
Ma l'umorismo, si sa, nasconde qualcosa di tragico. E la lettura delle pagine dello storico ci pone costantemente di fronte alla vacuità e alla tragedia della vita e del mondo che ci circonda. E si arriva così al secondo saggio, quello dedicato al tema della stupidità dell'uomo. Lo scritto vuole essere un antidoto contro l’imbecillità dell’uomo che tanto limita la nostra felicità. Per tentare di guarirci, Cipolla tratteggia delle leggi che manifesterebbero, umoristicamente e allo stesso tempo tragicamente, quanto la stupidità sia diffusa. Sembra quasi che nessuno sia escluso da momenti di simile malattia. Il saggio quindi propina delle leggi, universali potremmo dire, e, aiutato da grafici cartesiani, invita il lettore a stare attento, a evitare l’ottuso che è vicino a lui e che è dentro ognuno di noi. Lo stupido, colui il quale provoca un danno agli altri e pure a se stesso, è sempre attorno a noi, più di quanto possiamo immaginare.
Più volte ho riso (da solo) nel leggere questo piccolo gioiello di letteratura storica e nel farlo, tenacemente, ho avuto sempre in mente l’altro lato della moneta dell’umorismo: il senso di tragico che ci sta dietro.
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