Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

29 lug 2011

Psicoanalisi dell'amore - Erich Pinchas Fromm (Saggio - 1964)


"Viviamo in un periodo storico caratterizzato da un netto divario tra lo sviluppo intellettuale dell'uomo, che ha portato allo sviluppo degli armamenti più distruttivi, e il suo sviluppo mentale - emozionale, che lo ha lasciato ancora in uno stato di accentuato narcisismo con tutti i suoi sintomi patologici".

Uno degli assunti di base dell’analisi frommiana - diversamente da Freud (lo studio è anche il pretesto per recuperarlo e al tempo stesso criticarlo) - sta nel definire malata la società contemporanea, e nell’attribuire a essa la causa dei disturbi dell'uomo. La società è irrazionale, ha un istinto alla morte (che mi sembra nello psicanalista tedesco una categoria di valore...), e l'uomo sano, che si è reso conto di ciò, può progettare una società sana. La psicoanalisi, in quest’ottica, si fa dunque politica. E politico è lo sfondo su cui questo brillante scritto si affaccia. L’opera, infatti, nasce dalla paura che l'uomo possa autodistruggersi in piena Guerra Fredda, dopo avere assaggiato già nelle due guerre mondiali il sapore ficcante della morte. Con l’approccio tipico della Scuola di Francoforte, con Freud e Marx sullo sfondo, il rimedio al morbo della società si trova nell’agire su di essa, guarirla e in questo modo salvare l’uomo. 
L'analisi porta l’esponente della scuola francofortese a distinguere diverse forme di violenza che possono essere a servizio della vita o della morte, del razionale o dell’irrazionale. Necrofilia, narcisismo estremo (capitolo trascinantissimo questo), simbiosi incestuosa a definire il male da una parte; dall'altra biofilia, amore, libertà a definire il bene, sono i cardini entro cui l'uomo, per essenza contraddittorio, è costretto a misurarsi (“necrofilia e biofilia nell'uomo" è il sottotitolo dell’opera). Alla fine il lavoro non fa altro che interpretare se l'uomo sia di natura malvagio o buono o solo oscillante tra questi due estremi.
Sembra però ci sia in Fromm una morale ben definita. Le categorie di bene e male appaiono distinte e selezionate in base a criteri netti e universali. È questa assolutizzazione della morale che poco mi rassicura, che non mi convince del tutto. Pare che il suo esame sia scienza inoppugnabile, invece mi accorgo che spesso potrei non essere d'accordo. Sebbene trovi l'argomento ben trattato (l’analisi mi ricorda a tratti il procedimento diairetico platonico), è il rumore di fondo moralistico che mi inquieta. La vita è bene, la morte è male; la biofilia è bene, la necrofilia è male; troppo categorico!
Se le conclusioni morali possono essere discutibili, la critica alla società industrializzata, al contrario, è incalzante e rassicurante. Si legge una profonda vena ottimistica: se guarita la società, l’uomo potrà finalmente essere libero di evolversi in meglio e nell’amore. C’è speranza dunque.

27 lug 2011

Utz - Bruce Chatwin (Romanzo - 1988)


"La tirannia allestisce da sé la propria camera riverberante: uno spazio vuoto i cui segnali confusi vagano qua e là a casaccio; dove un mormorio o un accenno qualsiasi creano panico, così che alla fine è probabile che l'apparato della repressione svanisca non a causa di una guerra o di una rivoluzione, ma di un soffio, o della voce delle foglie cadenti..."

Ispirato a una storia vera, l’ultimo romanzo di Chatwin ha un sapore esistenzialista. Angoscia, inquietudine, abbandono, rifugio, illusione, fusione sembrano le categorie su cui si fonda l’intera storia.
Il narratore, alla ricerca di informazioni sulla passione collezionistica dell'imperatore Rodolfo II, si imbatte in Kaspar Utz, uomo ricco e per discendenza aristocratico. Dentro la Storia - in una Praga prima nazista e poi comunista - il barone Utz colleziona porcellane, e per le sue statuette si lascia trasportare dagli eventi, ne asseconda i singoli momenti fino a oscurarsi del tutto, a cancellarsi dall'essere uomo e diventare un tutt'uno con la sua collezione. Mania, morbosità, ossessione, lo porteranno da un lato a rovinarsi la vita, lo costringeranno alla prigionia dell’esistenza, dall'altro a trovarsi un appiglio su cui sostenersi per fare fronte agli eventi, alle sorprese della storia che con i suoi macigni lo investono. Le porcellane, la loro fine bellezza e perfezione diventano quindi un progetto, un’illusione per fare fronte all’insensatezza e alla bruttezza della realtà. Il protagonista e le porcellane diventano quindi la stessa cosa: un'alchimia arcana che solamente la morte potrà separare. Tanto che, morto Utz, per un ironico gioco a nascondere di quest’ultimo, le porcellane non saranno ritrovate. Il narratore supporrà che siano state distrutte, quasi a volere indicare ancora che senza di lui la collezione non poteva esistere, non poteva avere un significato in sé oltre gli inganni della Storia e del mondo.
Lo stile giornalistico, poco suadente in verità, è molto veloce. Il romanzo non è diviso in capitoli; un unico muro di parole che raffinatamente descrive l'ossessione, la perversione di Utz per le sue statuette di porcellana. L’analessi è l'artificio retorico che lo scrittore inglese usa per descrivere la viscerale passione del collezionista praghese.

Curiosità: la collezione di porcellana di Meissen fu ritrovata nel 2001, diversi anni dopo la morte dello scrittore inglese.

22 lug 2011

Il processo - Franz Kafka (Romanzo - 1925)


"Mai attirare l'attenzione! Starsene tranquilli, anche se si va contro ragione! Cercare di capire che questo grande organismo in un certo senso resta sempre in sospeso e che, se si muta qualcosa in modo autonomo, ci si scava il terreno sotto i piedi e si rischia di precipitare, mentre il grande organismo anche per il piccolo incomodo trova facilmente la soluzione - poiché tutto è collegato - e resta immutato, quando non diventa, ciò che è probabile, ancora più chiuso, ancora più attento, ancora più forte, ancora più malvagio". 

Ci sono romanzi e romanzi, libri e libri; ”Il processo” di Kafka è, tra questi, un capolavoro. Metafora monumentale della condizione dell'uomo contemporaneo, l’incompiuta opera dello scrittore ceco appare carica di inesauribili spunti riflessivi. 
Josef K., il trentenne protagonista, è accusato di un indefinito crimine. Una mattina, prima di andare in banca dove lavora, due uomini irrompono nella sua camera e gli comunicano che è in arresto e che è stato istruito un processo a suo carico. Non viene però rinchiuso in un carcere, è libero di continuare a vivere la sua vita; tanto il processo si svolgerà sempre e dovunque… In banca, nei tribunali, a casa dell’avvocato, nello studio di un pittore, persino in chiesa, i diversi personaggi che K. incontra hanno a che fare con la giustizia. E questo senso claustrofobico, opprimente, nonostante e anche per l’indefinibilità dell’accusa, si percepisce fittamente via via che Josef K. intuisce la pericolosità del processo. A tratti sembra di leggere di un sogno. Tutto rimane sospeso, come in attesa di un evento, ma non accade nulla di assolutamente determinabile, traducibile in ragionevolezza. Soltanto la condanna e l’atroce morte, alla fine, contrassegneranno l'inadeguatezza del protagonista, dell'uomo alla vita. 
Josef K. è un uomo solo. Intelligente, sicuro, estremamente razionale vive la sua quotidianità districandosi nel groviglio delle relazioni sociali. Ha però un fardello da sopportare, una spina nelle carni: un onnipresente processo tanto assurdo quanto carico di metafore. Siamo soli e più siamo in grado di elaborare il mondo che ci circonda più siamo vittime del sistema. In questo processo all’esistenza, perché di questo in sostanza si parla, è stupefacente la finissima logica che il protagonista dimostra nelle sue riflessioni. Tutto sembrerebbe perfetto, logico, razionale nella sua mente e quindi nel mondo che lui stesso osserva, ma il concatenarsi dei suoi ragionamenti non è destinato a conclusione. Proprio perché paradossali, i dialoghi tra i personaggi sono bellissimi, logici a tal punto da diventare sofistici. È la descrizione dell'uomo contemporaneo che Kafka ha in mente: l'uomo e la sua angoscia dovuta al non senso dell'esistenza. Ci illudiamo di sapere che ogni cosa sia al suo posto e non riusciamo a cogliere invece quanto quest'illusione, se intuita, sia un cancro che viscidamente corrode i nostri sensi. La società, l'esistenza sono così complesse che i personaggi kafkiani non riusciranno a spiegarsi, a dominare. L'assurdità è l'unica vincitrice. Alla domanda dell'accusa se sia lecito vivere una vita ordinaria, razionale in una società sempre più contorta e mediocre, la sentenza risponderà che non è legittimo e chiunque voglia mutare la condizione in cui si trova gettato è destinato a fallire.
Condizione dell'uomo contemporaneo si scriveva, è vero. Eppure tale statuto può essere colto solo dall'uomo attento, pensante, che come il protagonista vive per questo la vita con inquietudine e angoscia. È per mezzo di una simile definizione che così si dipana anche lo scontro durissimo tra l'intellettuale e i mediocri, la massa che tiene in piedi il sistema. In effetti, qualunque personaggio K. incontri nella sua disavventura è un mediocre, di limitate capacità intellettuali e qualità. Tanto che dal confronto si potrebbe dire che un modo ci sarebbe per K. di sopravvivere: integrandosi al sistema, accettandone i sotterfugi e gli ingiusti cavilli sociali che gli ordinari personaggi integrati gli propongono. 

Ci sono romanzi e romanzi, libri e libri; ”Il processo” di Kafka è, tra questi, un capolavoro.

18 lug 2011

La zia Julia e lo scribacchino - Mario Vargas Llosa (Romanzo - 1977)


"Fu un contatto molto rapido ma non se l'aspettava e la sorpresa fece sì che questa volta cessasse un momento di ballare. Adesso il suo stupore era totale: spalancava gli occhi ed era a bocca aperta. Quando finì il pezzo, lo zio Lucho pagò il conto e ce ne andammo". 

Mario, un giornalista dalle spiccate doti intellettuali, incuriosito dal lavoro dell'altro protagonista, Pedro, autore prolifico di radiodrammi, s’innamora della divorziata sorella della moglie di suo zio, Julia. La donna, donna di vita, disinibita e ammiccante, stravolgerà l’esistenza di Mario. Mentre la storia d’amore tra il diciottenne e la trentaduenne, i quali finiranno per sposarsi nonostante le feroci opposizioni della famiglia, cresce tra mille difficoltà, Pedro, lo scrittore di fama idolo di Mario, dai primi capitoli è vittima della follia. Inizia sentendosi perseguitato dagli argentini (che a suo dire plagiano le sue opere) per giungere in un crescendo ben orchestrato a confondere i suoi personaggi nelle diverse opere che saranno recitate in radio. 
I capitoli del romanzo, scritti in prima persona, sono intervallati dai racconti, in terza persona, che lo scribacchino scrive per la radio. Hanno la caratteristica dell’inconcludenza e lasciano il lettore con una serie di domande che non avrà risposta e mostra come la follia dello scrittore piano piano lo conquisti del tutto. Tanto che, ad esempio, certi personaggi morti in un racconto precedente, ritornino balzacchianamente in quello successivo. La letteratura come follia?
È immediata l’associazione mentale con il successivo (1979) "Se una notte d'inverno un viaggiatore" di Italo Calvino. Anche qui c'è dell’evidente metaletteratura, del metaromanzo, l’ironia del postmoderno; elementi tutti che rendono il romanzo modernissimo e che lo impreziosiscono con l’idea che la letteratura possa essere soprattutto gioco e riflessione.

Lo stile sintattico è dilettevole, intendendo con questo aggettivo che mi sono divertito a ritrovare certe costruzioni che apprezzo: periodi non smodatamente ipotattici, continuo bisogno di elencare per sottolineare...

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