"Le case borghesi erano sigillate come sepolcri, l'ingresso vi era rigidamente e tacitamente precluso dal terrore medesimo degli occupanti, e Némega approvava la separatezza dei borghesi, per non indurre nei suoi uomini nostalgie, reminescenze, comodità... E fuori, fischiava eternamente un vento nero, come originatesi dalla radice stessa del cuore folle dell'umanità".
Johnny, studente piemontese appassionato di letteratura inglese, decide di raggiungere le Langhe per arruolarsi tra i partigiani. Dopo alcune azioni con i garibaldini, Johnny decide di unirsi ai badogliani. Tra numerosi racconti di operazioni partigiane - tutte dal sapore amaro, con le vittorie e le sconfitte raccontate senza esaltazione o eccessiva delusione - il partigiano, l'antifascista, il fautore della libertà si mette a nudo nella sua complessità di uomo. E la vitalità dei giovani, il senso dell'avventura, la riproduzione tersa della disumanità umana e al contempo della condivisione, emergono dalla narrazione delle vicende del protagonista. Attributi questi che, così sembrerebbe (il romanzo è incompiuto), lo porteranno alla morte. Un romanzo, dunque, antiretorico e antiepico, di formazione, di crescita – una crescita non compiuta evidentemente - nel quale alcuni valori si scoprono raggiungibili solo per mezzo del male.
Seppur scritto in terza persona (scelta che in un romanzo del genere non riesce a coinvolgermi), l'analisi introspettiva del protagonista è notevole. Tra un’indecisione e l’altra, tra una decisione e un'altra che ne smentisce la precedente, Johnny appare luminoso nel suo conflitto interiore. Alla ricerca del senso della guerra, della libertà, il giovane non trova che opposte emozioni, contraddittori pensieri altalenanti. Tuttavia la scelta della terza persona, se da un lato ci permette di cogliere più distintamente le difficoltà psicologiche, dall’altro non permette di assaggiare appieno i sentimenti del personaggio principale. In
Meneghello, ad esempio, si ‘sente’ l’anima del protagonista; qui, invece, si guarda (e spesso non si osserva) un personaggio in balìa degli eventi che sì lo fanno maturare, ma senza che la progressione del sentimento sia descritta, sviscerata.
Probabilmente per via dello stile, a tratti surreale, a tratti asciutto, a tratti ancora sovrabbondante di fastidiose quanto sconcertanti espressioni inglesi sparpagliate sulle pagine come superflue macchie nere su un dipinto realistico (espressioni che nella seconda parte del romanzo, per fortuna, diventano sporadiche, meno invadenti, meno sconvenienti), non è stata una lettura appassionante. A parte, però, per i continui neologismi e per l’impiego di verbi con uso metaforico: sorprendenti, disorientanti, utili.
Anche la costruzione narrativa delle azioni militari è poco trascinante. Manca di pathos, del calore delle emozioni.