Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

8 dic 2012

Stendhal, mio cugino - Romain Colomb (Biografia - 1842?)


"Adorava l'imprevisto e non accettava mai di sottostare ad un qualsiasi lavoro fastidioso; si ribellava costantemente a tutti i doveri che non gli procuravano qualche piacere. La sua unica regola di condotta sarebbe stato il costante compiacimento del suo istinto momentaneo se non fosse stato costretto ad arrendersi di fronte a certe insormontabili convenienze".

La prima biografia di Stendhal è stata scritta da suo cugino, amico fraterno sin dall'infanzia, che per primo ne aveva colto dell’estro, del genio. Messo attentamente in rilievo il ruolo importante dell’educazione, Colomb ci dipinge un ragazzino precoce, uno spirito impulsivo, un romantico, esteticamente non bello, tozzo e per nulla affascinante, eppure Stendhal resta un personaggio intrigante e capace di incantare con la sua intelligenza e il suo spirito brillante. Questi anche i motivi che lo rendevano ben voluto e richiesto dall'alta società romana e parigina.
In queste pagine asciutte l'immenso scrittore francese ci appare impenetrabile, irritabile, scontroso, libero, geniale ovviamente. Colomb cerca di essere distaccato, giornalistico, sebbene l'affetto che lo lega al cugino sia grande e si avverta con vigore. 

Ritratto interessante, obiettivo, per il cultore della figura di Stendhal quasi prezioso, ma povero di aneddoti e di passione per il lettore disinteressato.

31 ott 2012

Tavola analitica del cornificio - Charles Fourier (Pensieri - 1808)


"'Cornuto propagandista' è quello che va in giro decantando le dolcezze del matrimonio, sollecitando tutti a prender moglie e deplorando la sfortuna di quanti non riescono a essere felici come lui... Ma felici di che? delle corna. E a chi va facendo l'apologia del matrimonio? Molto spesso proprio a colui che gliele fa portare".

Con sottile ironia, ecco in rassegna tutte le gradazioni dell'ampio spettro del cornuto. E tutto a uno scopo: evidenziare che la monogamia, e quindi il valore del matrimonio, è contro natura, è pratica inconcepibile in una società di armonia e bellezza. Il presunto ordine che la monogamia garantirebbe, infatti, in realtà crea dei cornuti. E si sa che il cornuto non è felice. È sempre preoccupato del futuro, degli altri, dei giudizi, e la sua psiche ne risente. Ecco l’ovvia conseguenza: esaltiamo l'amore libero, svincolato da pregiudizi. 
L'adulterio e le corna sono solo naturali conseguenze della monogamia. In una siffatta società, la poligamia, condizione naturale degli uomini e delle donne, trova comunque modo di esprimersi, furtivamente magari, ma nella sostanza è sempre in grado di vincere. Dunque perché non rendere visibile questa verità e passare da una società malata dalle menzogne e dall'afflizione conseguenti dalla monogamia, a una società poligama in cui a regnare è l'estensione dell'amore?
Sfumature rivoluzionarie, che puzzano di zolfo, ma decisive.

30 ott 2012

Politica della felicità - Michel Onfray (Saggio - 2008)


"Agire per conformità al dovere perché è il dovere o perché esisterebbe una trascendenza della legge divina o morale? Definire la moralità come obbedienza alla regola perché è la regola? Niente è più estraneo allo spirito dell'utilitarista quanto idee del genere! Bentham è l'anti-Kant assoluto".

Il quinto volume della ‘Controstoria della filosofia’ prende in esame le idee politiche di Flora Tristan, Godwin, Bentham, John Stuart Mill, Owen, Fourier e Bakunin. Ovviamente sono gli sconfitti della storia del pensiero, gli emarginati dalla contemporaneità, i filosofi messi al bando, ignorati dai più, che tuttavia posseggono una fertilità straordinaria che ancora oggi può essere preziosa. E quindi, secondo Onfray, devono essere recuperati. Per farlo occorre che i pensatori di sinistra di oggi ricollochino Marx, contro cui il filosofo francese scocca massicce ingiurie, ai margini del pantheon del loro pensiero. Dunque gli utopismi edonistici liberali ottocenteschi, socialisti, comunisti, anarchici, libertari come modelli per cercare di rifondare la sinistra di oggi. Tutti estremi nelle loro proposte, ma la base da cui partire per riprendere in mano un mondo in collasso. 
La chiave di lettura è sempre la stessa: l'eudemonismo - il bene nella felicità -  integrato con l’etica utilitaristica - utile individuale e sociale come benessere durevole - quali capisaldi per trovare un valore alla vita, per cogliere una felicità terrena per il maggior numero possibile di uomini.
I pensatori considerati, come è giusto, non sono sempre e solo glorificati da Onfray. Anzi. Sono spesso criticati per le loro contraddizioni, sono confrontati per mostrare le ambiguità e lo spaesamento che generano; Onfray sottolinea le conseguenze estreme con un pennarello rosso. Eppure il fine è di trovare una sintesi, un momento di ricapitolazione da sfruttare per nuove e più coerenti teorie. 

Nella mal celata critica alla sinistra di oggi, incapace di trovare i sentieri ben tracciati nell'Ottocento; nell’antidogmatismo, antikantismo, anticristianesimo, contro tutto ciò che provoca dispiacere per sé e per gli altri; nell’umorismo tagliente di Onfray che non stanca mai troviamo un libro prezioso, dove è possibile attingere informazioni, aneddoti e interpretazioni divertenti e allo stesso tempo carichi di riflessione.

15 ott 2012

Perché la guerra? - Sigmund Freud - Albert Einstein (Lettere - 1932)


"Se il figlio di Dio ha dovuto offrire in sacrificio la propria vita per liberare l'umanità dal peccato originale, questo peccato, secondo la legge del taglione, e cioè dell'espiazione mediante una pena eguale alla colpa, deve essere stato un'uccisione, un delitto di morte. E se il peccato originale fu colpa contro il Dio padre, il più antico delitto dell'umanità deve essere stato un parricidio, l'uccisione di quel padre primigenio della primitiva orda umana la cui immagine mnestica è stata successivamente trasfigurata in Divinità".

Su invito della Società delle Nazioni, Einstein volle Freud quale interlocutore epistolare su un tema di rilievo in quegli anni di crisi: perché gli uomini, nonostante l’evidente orrore, si fanno la guerra? In realtà già il padre della psicoanalisi aveva scritto sulla guerra, sui deliri della Grande Guerra, sugli effetti scardinanti che aveva provocato sulla sua vita e sul suo pensiero. Il volume puntualmente riporta, oltre allo scambio epistolare, i due saggi freudiani del 1915: "Considerazioni attuali sulla guerra e la morte" e "Caducità". Il primo analizza la delusione e lo straniamento innanzi alla guerra tra popoli che avrebbero dovuto essere civili, di fronte a idee e violenze inconcepibili fino a poco prima. L’educazione, la società, l'ambiente inciviliscono il singolo ed è lì che dovremmo indirizzare le nostre fatiche per risolvere le tendenze ai conflitti. Eppure, si vede nella civile e progredita Europa, esiste una pulsione alla guerra, all'involuzione, che riaffiora e si scatena. Ecco perciò che il modo di considerare la nostra morte come evento naturale ma irrappresentabile, la nostra insincerità, e la raffigurazione della morte in modo così netto e quotidiano, è per Freud un elemento decisivo che destabilizza gli uomini di fronte alla guerra e alla morte. “Caducità” invece è un brevissimo saggio sul valore della caducità, sulla provvisorietà quale categoria del bello e sulla speranza di una ricostruzione migliore delle precedenti dopo la guerra.
Poi le lettere. Scritte da due pacifisti, cercano di decifrare il problema della guerra e della crisi che si respira robustamente in quegli anni e ne propongono soluzioni. Einstein in particolare crede che per risolvere la pulsione alla violenza degli uomini occorra istituire un organismo politico sovrannazionale, un grande istituto garante di pace. Dopo aver posto la questione e aver ammesso la sua ignoranza in fatto di psicoanalisi, quindi, ritiene che solo un organismo sovrannazionale possa risolvere in futuro la questione della guerra. Sebbene gli apprezzamenti alle parole e alle idee einsteiniane, per Freud, con una straordinaria limpidezza stilistica, è piuttosto il progresso intellettuale dell'uomo e della civiltà che porrà fine ai conflitti. La violenza, la risoluzione dei problemi con la forza, sia nel singolo sia nelle comunità, non può essere annullata. Le pulsioni sessuali, di vita, e le pulsioni di morte sono nell’uomo, ma con uno sforzo collettivo di crescita, di progresso è possibile incanalare quelle nocive verso momenti più creativi. Freud è un illuminista, lo sappiamo.

9 ott 2012

La natura - Tito Lucrezio Caro (Poema - I sec. a. C.)


"E quand'anche il tempo raccogliesse la nostra materia
dopo la morte e di nuovo la disponesse nell'assetto
in cui si trova ora e a noi fosse ridata la luce della vita,
tuttavia neppure questo evento ci riguarderebbe minimamente,
una volta che fosse interrotta la continuità della nostra coscienza".

Sei libri di fuoco, eccellenti per stile e filosofia professata; un omaggio alle dottrine di Epicuro, presumibilmente il più grande filosofo dell'antichità. Lucrezio, riponendo fiducia nei sensi, scagliandosi contro le superstizioni religiose, scrive un’opera inattuale, umanista, illuminista, materialista. Liberato da qualunque peso superstizioso, coglie il mondo sotto una nuova luce e solo allora può permettersi di iniziare a discutere sull’universo, sulla natura, e a scoprire che è la materia composta di atomi l’unico sostrato della natura. Nell’elogio dei sensi, l’atomismo, il materialismo, il meccanicismo trovano ragione d’essere e ogni cosa trova il suo ordine, la sua geometria, il suo significato. E la conoscenza della natura può divenire strumento per raggiungere la felicità; la gnoseologia per l'etica. Lo scopo della scienza sarà perciò quello di raggiungere l'atarassia, l'imperturbabilità dell’animo, afflitto e stanco dal fardello dell’ignoranza e delle credenze che incutono terrore e allontanano l’uomo dalla serenità. È dunque un libro che descrive ciò che è e, allo stesso tempo, descrive ciò che dovrebbe essere…

Ecco in breve gli argomenti dei singoli libri. Nel I Lucrezio descrive l'universo come composto e vivente nel moto degli atomi. Qui troviamo efficaci pagine contro la religione tradizionale. Nel II libro è esposta la teoria del clinamen e del libero arbitrio. Nel III, per me il libro più bello, l'anima è definita corpo, materia, composta di atomi e quindi mortale. Sono solo i sensi gli strumenti che ci permettono di conoscere. Nel IV libro è presentata la teoria dei simulacra. Inoltre non dobbiamo temere la morte perché quando si presenterà perderemo le sensazioni. Nel V propone la dottrina della mortalità del mondo. Tutti i fenomeni terreni sono effetti di cause naturali, non divine. È anche un libro di astronomia, di biologia, di storia del progresso umano. Nel VI e ultimo libro il poeta dell’epicureismo dà una spiegazione naturale dei fenomeni fisici e chiarisce perché non dobbiamo temere gli dei (se esistono, non si interessano delle vicende umane).

Chissà dove saremmo oggi se filosofie come questa avessero vinto nella storia le guerre contro le assurde metafisiche, che a vuoto hanno cercato di descrivere il mondo e che hanno soggiogato l’uomo sotto la zavorra del pressappochismo e dell’assopente religione.

26 set 2012

Notti sull'altura - Giuseppe Bonaviri (Romanzo - 1971)


"La cantilena continuava, alterna, e s'alzava nei fianchi della valle, e già non ci sembrava estranea variazione della notte, anzi, per i mutevoli mantelli piovosi tuttora visibili verso la piana di Càtana, ci dava maggior voglia nel considerare l'infinitesimo strato di polvere lunare calante dall'alto, e a sua volta a molti uomini della squadra sembrava che i vicini burroni non fossero più tali, ma un miscuglio di titanio, di berillio e di iridio che sciogliendosi in diverse tonalità triplicavano le vibrazioni della luce".

La storia ha inizio quando, morto suo padre, Zephir, lo stesso narratore, dopo un viaggio in aereo in compagnia di Aramea, che dentro un taschino del cappotto teneva un bambino (sic.), giunge dal fratello e al suo paese d'origine. E da questa morte iniziano a presentarsi strani segnali, arcani da capire, e la storia comincia a ingarbugliarsi. Si cerca un uccello magico, un tanatouccello portatore di morte, una chimera che svolazza per i cieli della Sicilia. Diversi uomini, alcuni persino non inventati, dotti, astrologi, scienziati, astronomi, avviano battute di caccia per mesi e mesi, sfiorando l’uccello più volte ma senza mai catturarlo. Tutti questi personaggi hanno qualcosa di magico. Parlano con la Luna (che con i suoi influssi è una protagonista della storia), leggono messaggi dai tronchi, dai vegetali, dalle pietre, viaggiano tra pianeti e la Via Lattea; cercano di essere un tutt'uno con la natura, dibattono e ricercano sogni metafisici vani come le speculazioni sulla vita e sulla morte...
Ci troviamo di fonte a un romanzo di nomi di favola, di luoghi colorati - alcuni notturni altri luminosi come in alcune storie da 'Mille e una notte' -, di avventure e cacce, di viaggi che partendo dalla morte ricercano un effimero senso alla vita, di ricerca del padre. È un racconto magico, una favola antica, in una Sicilia incantata e miracolosa, dove il cuore dell’isola è ombelico dell'universo dietro i cui nomi, che sembrano d'altri tempi, si celano amici, parenti e arabeggianti luoghi siciliani cari allo scrittore di Mineo.
Lo stile baroccheggiante insaporisce la storia e la rende ancora più misteriosa e fiabesca però rallenta la fluidità della lettura. È una storia lunga, verbosa; un libro aggrovigliato, di certo non facile.

21 set 2012

Piccole scene amorose - Pierre Louÿs (Racconti - 1927)


"Sei proprio gentile, Simone, a ospitarmi nel tuo letto... Ma non vorrei scandalizzarti".
"E come?".
"Non posso addormentarmi senza... senza...".
"Ah! sei stata proprio cortese a dirmelo. Io l'avrei fatto senza confessartelo".
"Ah! tu pure?... Ma tutto il letto trema, sappilo, quando io lo faccio. Per questo ho preferito avvertirti...".

Se volete eccitarvi, nel vero senso della parola, non potete non leggere questa spassosissima raccolta di scenette dialogiche a sfondo libidinoso. Brevissime e veloci scene; in poche battute sono descritti amori lesbici, confidenze erotiche, giochi onanistici a bizzeffe, ménage à trois, immaginazioni, desideri, voluttà, carnalità… Sono quasi unicamente donne le protagoniste che si raccontano, senza pudicizia, senza pregiudizi. Ma non tutto è innocente e gustabile: sono infatti raccontate storie estreme, spesso incestuose, di coprofagia, persino di pedofilia che non hanno nulla di eccitante e provocante.
Nonostante il divertimento dei dialoghi, e per i finali con battute divertenti e rosse di imbarazzo, la lettura dopo poche pagine diventa ripetitiva. Ecco perché è un libro che andrebbe letto a piccole dosi. Tre, quattro scene al giorno, come una medicina contro l'ipocrisia. È dunque un libro da tenere sotto chiave e mostrare solo in occasioni innocenti e irreprensibili.

Naturalmente si astengano dalla lettura puritani e bigotti, rischiano mostruosi sensi di colpa e ipocrite autoflagellazioni notturne.

20 set 2012

Teologia portatile. Piccolo dizionario della religione cristiana - Paul - Henry Thiry d'Holbach (Dizionario - 1767)


"CRISTIANO. È un buon uomo, una pecorella del buon Dio che, nella semplicità del suo cuore, è persuaso di credere fermamente le cose incredibili che i suoi preti gli hanno detto di credere, soprattutto quando non ci ha mai pensato. Di conseguenza è persuaso che tre non fanno che uno, che Dio si è fatto uomo, è stato appeso, è resuscitato, che i preti non possono mai mentire e che coloro che non credono ai preti saranno condannati senza remissione".

Del divino barone d'Holbach abbiamo più volte scritto e apprezzato la figura e l'opera filosofica. Sarà bene riscriverne: è troppo spesso ignorato e in questi momenti di assolutismi (più strombazzati che seguiti in verità) è bene ricordarlo. Mi ripeterò, lo so, ma non posso farne a meno.
Questo dizionarietto, come tutta l’opera d’holbacchiana, è un libro pericoloso, incendiario. Secondo il barone, e non solo, la religione è frutto dell'ignoranza e dell'immaturità umana di fronte alla vita e ai suoi pericoli. Purtroppo, per mezzo della menzogna della casta sacerdotale, malattia del sistema politico, la religione si è istituzionalizzata: è diventata facile e machiavellico strumento per regnare. I preti, quindi, potenti e prepotenti, dopo che per mezzo di estorsioni e terrificanti messaggi dal falso scopo educativo hanno bendato gli uomini che non possono né vogliono vedere la verità, dopo che con le loro menzogne hanno da sempre sottomesso l’autorità dello stato, sono i veri monarchi da smascherare. Ecco il compito rivoluzionario del volume: scardinare il poderoso connubio tra Chiesa e Stato che vede quest'ultimo succube della prima. Non notate nulla di attuale?
Il dizionario è introdotto da un sarcastico "Discorso preliminare", il quale sintetizza e rende discorsivo il senso dell'elenco dei lemmi considerati per spiegare la teologia, quella gigantesca impostura causa di tanti mali e ignoranza. Anche la definizione dei lemmi è sarcastica, beffarda, fulminea. Le sentenze sono agili, non c'è un ragionamento dietro, nessuna argomentazione; sono solo valanghe di bombe corazzate di evidenza, di storia, di fatti visibili a tutti, ma che tutti fanno finta di non vedere.
È un libro luminoso, scattante, che nelle intenzioni dell'autore doveva servire a rischiarare le menti, a illuminare la verità. È un libro che, purtroppo, nonostante certi estremismi e certi anacronismi, deve essere ancora letto e riletto.

Di utilissima contestualizzazione l'introduzione del prof. Tomaso Cavallo, che, chiarendo il senso della ‘Teologia portatile’, tra l'altro, paragona i diversi autori di dizionari tanto di moda nel secolo dei Lumi.

17 set 2012

"La felicità esiste, ne ho sentito parlare". Gesualdo Bufalino narratore - Giuseppe Traina (Saggio - 2012)


"La grandezza letteraria (e morale) di uno scrittore, e soprattutto della sua opera, si misura considerando, innanzitutto, l'eredità che lascia agli scrittori successivi e soprattutto ai lettori: la sua capacità di parlare ancora, 'post mortem', ad essi. Parlare, ovvero sollecitarne le risposte: qui ed ora, una volta che la sabbia della battigia abbia assorbito la risacca effimera delle mode letterarie". 

Il volume raccoglie i saggi che il professor Traina ha dedicato alla figura di Bufalino narratore. Solo poche pagine sono inedite. Gli scritti abbracciano l'intera opera narrativa bufaliniana (ad eccezione dell'incompiuto 'Shah-mat') e cercano di mostrare, brillantemente direi, la natura inattuale e al contempo modernissima, e dello stile e della poetica, di uno scrittore coltissimo, carico di senso, postmoderno; superbo, tra i più grandi della seconda metà del ‘900.

P.S. Veste grafica e formato del libro infelici.

16 set 2012

Il castello di Crowley - Elizabeth Gaskell (Racconto - 1863)


"L'amore era da lungo tempo scomparso dall'abitazione di quella coppia: un'abitazione, non una casa, persino nei giorni migliori. L'amore era uscito dalla finestra, prima ancora che la povertà entrasse dalla porta: eppure quella spietata ospite, che non tarda a scovare un giocatore poco raccomandabile, era arrivata".

Una visita a un castello normanno in rovina, edere che ne ricoprono le mura, boschi, un ponte su un fossato asciutto, un cimitero semi abbandonato, un vecchio custode testimone di una decadente storia: inizia in questo modo il racconto della scrittrice inglese, un invitante impasto di topos del ghost-story ottocentesco. Eppure questi elementi sono solo pretesti che danno alla narratrice l’occasione di riportare il racconto del vecchio guardiano sulla sfortunata Theresa Crowley. Promessa sposa a un brillante cugino, Duke, Theresa gli mostra sin dall'infanzia una certa indifferenza e così a Bessy, figlia del vicario e amica di giochi e innocenze. Mentre per tre anni il cugino sarà assente per il grand tour in Europa, l’adolescente Theresa si trasferisce a Parigi per crescere in eleganza e raffinatezza. Qui, sedotta dall'opulenza della città e dai modi gentili del conte di Grange, Theresa, di nascosto dal padre, si sposa con il conte; personaggio losco e dissoluto... Ben presto, però, la ragazza si accorgerà della vanità del loro amore e, infelice e con una dote dilapidata, subirà la tristezza che si affaccia prepotente nella sua vita. Nel frattempo il cugino promesso sposo si congiunge con Bessy di cui si era innamorato. Invidia e perfidia sconvolgono Theresa che, dopo la morte per assassinio del marito, ritorna al castello, dal deluso padre che intanto ospitava proprio Bessy e Duke. Anni dopo, morta Bessy per una strana malattia, dopo qualche tempo, finalmente, Theresa e Duke, tra lo smarrimento di amici e parenti, si sposano. Ma i due non saranno felici. Una volta scoperto che Victorine, la sempre fedele domestica di Theresa, era stata l'assassina di Bessy, Duke abbandona il castello e lascia da sola Theresa che morirà di disperazione appena dopo. Si spiega così il perché della rovina del castello di Crowley…

La scrittrice vittoriana ci lascia la storia di una famiglia in decadenza, di peccati, di lutti (il conte, il padre di Theresa, il bambino di Duke e Bessy, Bessy stessa, Victorine, Theresa). Troviamo inoltre la ricerca del contrasto tra l'artificiosità di Theresa e la semplicità di Bessy, tuttavia entrambi i personaggi non appaiono piacevoli. L'artificiosità della protagonista, infatti, è acida, sproporzionata; la semplicità di Bessy invece è ingenua e altrettanto eccessiva; e non si ha voglia di parteggiare per l’una o per l’altra…

15 set 2012

Il sergente nella neve - Mario Rigoni Stern (Romanzo - 1953)


"Passando per un villaggio vediamo dei cadaveri davanti agli usci delle isbe. Sono donne e ragazzi. Forse sorpresi così nel sonno perché sono in camicia. Le gambe e le braccia nude sono più bianche della neve, sembrano gigli su un altare. Una donna è nuda sulla neve, più bianca della neve e vicino la neve è rossa. Non voglio guardare, ma loro ci sono anche se io non guardo. Una giovane è con le braccia aperte, e ha sul viso un lino bianco. Ma perché questo? Chi è stato? E si continua a camminare".

Russia, inverno del 1942/43. Le trincee scavate nella neve, la ritirata sotto un vento gelato. La lontananza da casa, la neve onnipresente, i massacranti appostamenti, le freddissime trincee, la terrificante paura, le micidiali battaglie, la devastante ritirata, i sognanti ricordi, il desiderio inesauribile di tornare a casa; il capolavoro di Stern è una delle più significative testimonianze letterarie della ritirata di Russia, e della guerra, che non ha spazi per la retorica. Nella narrazione non c'è enfasi, magniloquenza; l'esperienza della guerra, estrema, assurda, è raccontata con sottile concretezza, con glaciale plasticità, addirittura quasi con nostalgia, ma senza mai esaltare sopra le righe le piccole vittorie, le sopravvivenze conquistate. Nel contrasto tra la staticità della prima parte (quella rivolta alle operazioni di trincea in Russia), e la dinamicità della seconda parte (quella dedicata alla ritirata il cui stile semplice e tangibile dà al racconto un ritmo straordinario), c’è tutto il senso della disfatta di un popolo, ma al contempo la straordinaria, possibile, grandezza dei limiti di sopportazione dell'uomo. In questo, e non solo per la toccante testimonianza diretta dall’altissimo valore documentaristico, ci vedo un sostrato formativo.
I ricordi sono nitidi, precisi. I racconti delle pause tra uno scontro e l'altro sono candidi, di lotta per la sopravvivenza, tuttavia bisognosi di comunicare l'affinità tra l'uomo e la natura, tra il narratore e la neve di Russia (che gli ricorda quella delle sue montagne), tra l’uomo e gli uomini. Affinità che con il precipitare degli eventi muta e gli uomini non sono più un tutt'uno con quella natura (quella russa): le sopravvivono, chi ci riesce, e i soldati cercano nei ricordi le loro terre, la loro vera dimensione e natura.
Durante la straziante ritirata, la cui rievocazione è vivida e devastante, non c'è pausa, non c'è un attimo di tregua, il freddo, la stanchezza, i russi che li inseguono, la fame, il sonno, la penuria di munizioni, i ricordi, i desideri, sono lì, sempre presenti. Gli uomini diventano automi, ma non si dimenticano mai di essere uomini. Ecco i toccanti e fulminei ricordi dei compagni d'avventura, specialmente dei commilitoni morti; l'amicizia, quella strana comunione che si crea tra i commilitoni che insieme vivono la sofferenza della guerra; la responsabilità del sergente Rigoni verso i suoi uomini e amici.

Il romanzo di Stern è un libro pedagogico, da leggere a scuola. È un libro commovente, stilisticamente notevole; un’opera bellissima.

14 set 2012

Storia dell'occhio - Georges Bataille (Racconto - 1928/1967)


"Mi distesi allora sull'erba, il cranio su una grande pietra piatta e gli occhi aperti sulla Via Lattea, lo strano squarcio di sperma astrale e di urina celeste che attraversa la volta cranica formata dal cerchio delle costellazioni: quella ferita aperta alla sommità del cielo e apparentemente composta da vapori ammoniacali rifulgenti nell'immensità - nello spazio vuoto dove si van lacerando assurdamente come un grido di gallo nel silenzio assoluto - un uovo, un occhio scoppiato o il mio cranio abbacinato e pesantemente incollato alla pietra ne rimandavano all'infinito immagini simmetriche". 

Scritto in prima persona, è il racconto di un erotismo lugubre e angoscioso tra un narratore tormentato di fronte al sesso e Simone, una sedicenne disinibita e perversa. I due sono giovanissimi, ma dipanano una sequela di atti carnali che non hanno nulla da invidiare alle scellerate fantasie del marchese de Sade. Già dai primi atti i ragazzi, posseduti da una violenta forza voluttuosa, coinvolgono nei loro giochi Marcelle, una bellissima ragazzina fragile e senza carattere. Via via che la storia incalza le loro azioni divengono sempre più estreme, più perverse e ben presto le loro orge saranno scoperte dai genitori e porteranno Marcelle alla follia. Ma i due protagonisti non possono amarsi senza la loro amica, senza essere visti... Una notte quindi, tormentati dal suo corpo, fanno evadere Marcelle dal castello psichiatrico in cui era rinchiusa. Giunti a casa però, e riconosciuto luogo e attori causa della sua follia, Marcelle non riesce a sostenere il peso della colpa e s’impicca. Davanti al cadavere con gli occhi aperti, mentre il narratore e Simone hanno il loro primo rapporto completo, Bataille scrive pagine bellissime nella loro violenza e necrofilia. Fuggiti in Spagna, i due ragazzi sono ospiti di un ricco quanto perverso inglese che abusa di loro solo visivamente. Qui, in un crescendo di lascivia e ferocia, i tre si abbandonano al vizio, alla blasfemia e persino all'assassinio.
È una storia morbosa, ossessionata, estrema, di cupa formazione; un compendio di perversioni, alcune infantili, altre senza limiti; un racconto erotico, pornografico, sadiano però senza, o quasi, eccessi sadici. Ci troviamo di fronte all’elogio della masturbazione, dell'estetica dei liquidi seminali, dell'urina (le lacrime degli occhi), del voyeurismo. Le depravazioni che si consumano sono di solito prive di penetrazioni. I ragazzi cercano continuamente di rendere l'atto sessuale inusuale, estetico, da eccitazione per gli occhi. Ci sono occhi che guardano ovunque. Ciotole di latte, uova, testicoli di toro, occhi umani estirpati dalle orbite sono tutti testimoni oculari e veri protagonisti delle scelleratezze dei due giovani. Ci sono anche gli occhi dei compagni d’avventura: genitori, compagni di giochi. Gli stessi protagonisti, per mezzo dei loro occhi, sono spettatori. Il gioco a tre con Marcelle, e dopo con il voyeur inglese, ha origine da questa ossessiva volontà di farsi vedere. Il sesso deve essere visto; ecco perché le descrizioni di Bataille sono così concrete e vivide nella loro oscenità. Infine ci sono io, i miei occhi di lettore che attraverso la toppa della serratura bucata dalle parole vedono e partecipano ai loro deliri…

Il volume, in questa edizione (SE, 2008), propone la prima e l'ultima pubblicazione di uno dei racconti più celebri dello scrittore e filosofo francese. Il libro, inoltre, è corredato dalle oniriche illustrazioni di André Masson e Hans Bellmer e da un breve saggio di Barthes sul valore metaforico e metonimico del racconto.

11 set 2012

I filosofi in cucina - Michel Onfray (Saggio - 1989)


"Un sapere ateo è sapienza estetica. La confusione tra una scienza dell'agire e l'arte di vivere invita a questa diet-etica desiderosa d'eudemonismo. Destinata alla putrefazione e all'esplosione in molteplici frammenti, la carne non ha altro destino che quello anteriore della morte. Il cattivo uso del corpo è un errore che ha in sé la propria sanzione: non si recupera il tempo perduto".

Da un gustoso racconto autobiografico, Onfray prende la penna e si lancia nel progetto di una lezione di edonismo. Il bene è il piacere; e il piacere dovrebbe essere la molla che ci spinge a vivere l’unica vita che ci è concessa. Non c’è nulla dopo la morte. È il corpo che pensa, sono i sensi che stimolano la riflessione, che conoscono. Perché quindi mortificare il corpo e privarci del piacere in vita? Da questo presupposto, ateo, materialista, il filosofo si muove e l’elogio del fisico, dei sensi, unici dispensatori di verità e fondamenti della ragione e della logica, si fa propizio, assoluto.
Qui in particolare Onfray prende in esame il piacere della gola e propone una dietetica che si fa estetica, etica, scienza della soggettività. Il pensare e filosofare in cucina, con le sensazioni, con la materia, mettere in rapporto la testa pensante e la pancia istintiva. Anche perché soddisfatta la pancia è più semplice filosofeggiare! 
Convinto del celebre motto feuerbachiano 'l'uomo è ciò che mangia', con uno spassosissimo gioco comparativo, Onfray racconta curiosissimi aneddoti sulle abitudini culinarie di alcuni fra i più grandi filosofi per carpirne il temperamento del loro pensiero. E così leggiamo di un cinico ed estetico Diogene contrario all'artificio dei costumi e delle tradizioni, e che nel cannibalismo scorge coerenza per un ritorno alla semplicità dello stato di natura. Di un oscurantista e reazionario Rousseau che si nutriva di latte e di verdure solo per non morire. Di un critico Kant che nei sensi scova imprecisioni e particolarismi e non si cura di essi, anche se trova nel vino e nella buona cucina il modo per smentirsi. Di un utopista Fourier che desidera dominare ogni piega della natura per creare la società armonica e perfetta, dove il desiderio del buon cibo sarà il fulcro che renderà equilibrata la società. O di un morigerato e inattuale Nietzsche, ghiotto di salumi, che crede che la dieta determini l'etica e che la misura sia un dovere verso il corpo. Oppure di un rivoluzionario ed esaltato Marinetti che vede nella dieta estetica, a base di riso nazionale e fantasia, il futuro. O infine di un platonico Sartre, schifato dai crostacei, dall'igiene, dal corpo, che non ha alcuna cura di sé e dell'alimentazione.

È un libro che ovviamente patteggia per i filosofi burrosi, amanti della cucina opulenta e saporita, che si scaglia contro i filosofi asciutti, ascetici, senza predilezioni per i piaceri della gola. Un libro succulento, fragrante, farcito di piacere.

9 set 2012

L'arte di insultare - Arthur Schopenhauer (Aforismi - 1860)


"Se rivolgiamo lo sguardo indietro ai duemila anni e più trascorsi nell'inutile tentativo di trovare un solido fondamento alla morale, forse ci verrà da pensare che non vi sia nessuna morale naturale, indipendente dalle istituzioni umane, ma che essa sia semplicemente un'invenzione artificiale, un mezzo escogitato per meglio raffrenare l'egoista e malvagia razza umana".

Anche se è preferibile non arrivare mai all'insulto, nella vita è inevitabile trovarsi in circostanze in cui l'offesa è necessaria. Ecco dunque un libro che educa il lettore a quest'arte raffinata, seppur di facile dominio. Ma queste sono le premesse e le intenzioni del filosofo o solo una mossa commerciale della casa editrice? Leggendo il volume le massime scelte non sembrano poi così offensive, ci si accorge invece di quanta finissima intuizione, acutezza e verità ci sia negli strali che Schopenhauer lancia. Cattiveria e rabbia sono solo gli abiti con cui si veste la ragione quando non è ascoltata. Forse è la verità in sé che risulta offensiva? Eppure non tutti gli aforismi mi sembrano depositari di verità. Le considerazioni sull'inferiorità delle donne, ad esempio, se in un primo momento fanno sorridere per la loro ingenuità, alla lunga infastidiscono.
Ma contro chi si scaglia il filosofo tedesco? Facile a dirlo, contro tutti: la società, la Germania, le donne, l'amore, la vita, il maltrattamento degli animali, la barba, Hegel, la storia; in breve contro il mondo intero.
È un libro dilettevole, a tratti fulminante, che abbozza la figura di un filosofo misantropo, misogino, a tratti altezzoso, ma che in fondo ha tutte le ragioni per essere tale. 
Piccolo neo. Dal singolo aforisma, presunto ingiurioso, preso in prestito dalle opere edite e inedite di Schopenhauer, purtroppo, non è possibile risalire all’opera da cui è tratto.

8 set 2012

Le cose dell'amore - Umberto Galimberti (Saggio - 2004)


"Nessuno, infatti, ama l'altro, ma ognuno ama ciò che ha creato con la materia dell'altro. Siamo irriducibilmente racchiusi nella nostra solitudine, e se trascendenza si dà, questa percorre lo spazio che c'è tra la natura e la sua trasfigurazione. Ciò che si ama è dunque la nostra creazione, non la natura, ma ciò che, a partire dalla natura, siamo in grado di creare".

Galimberti, in questo libro, pone domande e analisi sull’amore in un’epoca in cui si ha l’impressione che l’amore, nonostante alcune libertà culturali conquistate, sia inflazionato e totalmente libero da essere quasi privo della libertà stessa. 
Secondo il filosofo, nella relazione con l'amato si cerca se stessi, nel tu si cerca l'io. È l’aspetto più interessante del libro, un amore che non è per l’altro ma è egoistico. Diventa condivisibile l'insistenza dell’autore di descrivere la natura dell'oggetto amato. Di esso non si ama l’intrinseca natura, bensì la creazione, l'immagine idealizzata che il soggetto si costruisce. Eppure questo amore di sé salva l'individuo dalla società e dalle maschere da esse imposte. Purtroppo però l’uomo ha poco coraggio di amare; oscillante tra desiderio, idealizzazione, ricerca di sicurezza, si confonde e si perde in pulsioni contraddittorie e spiazzanti. Ecco perché il libro mette in relazione l’amore con una serie di concetti adiacenti, convergenti e opposti. Si passa dal rapporto con la trascendenza (il Dio dei mistici per intenderci; un Dio che ritroveremo anche a sproposito per tutta la lettura…), al rapporto con l'odio, l'aggressività, e dopo diversi salti fino ad arrivare all’amore che si conserva e allo stesso tempo muta nel matrimonio. Lungo questa corsa di parole, possiamo leggere la definizione dell'amore come un tentativo per spiegare l'uomo.
C’è nel testo però un afflato assolutistico che non mi convince. Tutti amiamo allo stesso modo? Siamo sicuri che tutti scegliamo liberamente il nostro partner o invece siamo solo costretti dal caso, dalla fretta, dall’imprevedibilità degli eventi? Sembra che le determinazioni dell'amore e degli altri termini legati a esso siano assoluti, universali, quando invece credo che si debba essere più attenti a mostrare le differenze. È uno studio che si inserisce lungo la scia delle definizioni dell'amore platonico, romantico, cristiano... L'amore proustiano dell'illusione, l'amore materiale della biologia non sono quasi mai presi in considerazione.
L’argomento, si sa, è complicato, sfuggente. Malgrado ciò Galimberti sviscera il tema con acutezza e scrupolo, mettendo a nudo oggetti e relazioni di una questione che non finirà mai di porre domande, di riproporne, di suggerire ancora una volta le debolezze dell'uomo e della società in cui è claustrofobicamente incastrato.

5 set 2012

Stanley Kubrick. L'arancia meccanica - Giorgio Cremonini (Saggio - 1996)


"Il suo è un linguaggio freddo, razionale, conseguente, che viviseziona spietatamente le contraddizioni, con una messa in scena curata e levigata sin quasi alla perfezione e una costruzione del racconto che toglie spazio alle emozioni per riservarlo alla lucidità della riflessione".

‘Arancia meccanica’ è un film claustrofobico, perfetto nelle simmetrie, dai dettagli spiazzanti, ricercati, volutamente sperimentali, dalle infinite citazioni (ma ogni film di Kubrick è miniera inesauribile di criptocitazioni), dalle geniali scelte dei commenti musicali. È un film che non giudica, che non dà giudizi morali, ma che si limita a descrivere l'uomo, la sua innata contraddizione, il suo oscillare tra la violenza e i vani tentativi di porvi rimedio. È un universo di contrasti, di antinomie, che tratteggia l'individuo, la fragilità del mondo e la società in cui esso è assorbito. 
L’accorto studio di Cremonini non soltanto mette in luce tutto ciò, ma evidenzia le contraddizioni che Kubrick ha analizzato in tutta la sua opera. In particolare, come avevo già rilevato a proposito del romanzo di Burgess, l’autore si concentra sul confronto-scontro tra Natura e Cultura, tra nomos e physis. Il volume inoltre si fa prezioso per i continui richiami alle altre opere kubrickiane (e all’indispensabile libro di Bernardi) e per gli interessantissimi confronti con il capolavoro del 1971. Considerevole la ricostruzione dei fenomeni culturali che negli anni appena precedenti l'uscita di 'Arancia meccanica' suscitarono dibattito e clamore (su tutte la pop art) e che di certo furono di ispirazione per Kubrick.
Cremonini, almeno nelle intenzioni, cerca di essere il più obiettivo possibile nell'analizzare il film. Certo, non mancano esultanze di fronte alla figura di Kubrick, ma è il genio di Kubrick stesso a suggestionarlo. Questo non toglie che le sue interpretazioni siano sottili, condiscendenti, denotino finezza, intuito e ottimo spirito d'osservazione.

3 set 2012

Il giudice beffato - Donatien-Alphonse-Francois de Sade (Racconto - 1787)


"Per cinque volte di seguito è coronato dall'amore, finché al mattino le finestre aperte lasciano penetrare un raggio di luce nella stanza, e agli occhi del vincitore si offre la vista della vittima che ha immolato... Giusto cielo, che scena, quando scorge una vecchia negra in luogo di sua moglie, quando vede un volto nero e orrendo rimpiazzare le grazie delicate che aveva creduto di possedere!"

L’odio del ‘divin marchese’ verso la magistratura lo indusse a scrivere un racconto rabbioso, spietato, disperato se vogliamo, senz’altro vendicativo, senza un briciolo di ironia nonostante la banalità del comico che ci mostra e ci anticipa sin dal titolo. Il protagonista del racconto, il signore di Fontanis, magistrato e presidente del parlamento di Aix, non è un eroe; è la vittima predestinata di Sade. Il signore di Fontanis è l’emblema della magistratura cui Sade scaglia i suoi crudeli strali. 
La trama è semplice. Il vecchio e immorale magistrato è scelto dal barone de Téroze per darle in sposa sua figlia, una bellissima diciottenne già innamorata del giovane conte d'Elbène. Senza troppi preamboli, il vecchio e la giovane si sposano, ma questa, con l'aiuto dell'amato, della sorella e del cognato, si fa beffe del marito. Lo avvelenano la prima notte di nozze; lo lasciano cadere dal letto mentre è confuso dal sonno; lo inducono a copulare involontariamente con anziane e asini; lo costringono a passare alcuni giorni in un castello infestato da fantasmi violenti; gli fanno credere che improbabili palloni aerostatici sfreccianti sulle costellazioni che mostrano due giovani congiungersi sessualmente siano rari fenomeni astronomici. Ovviamente non possono mancare le torture sadiche e quindi una notte il povero magistrato è vittima di flagellazioni e crudo terrore psicologico. Le beffe, come si vede, sono decisamente ridicole. Però la ripetizione continua e sfrenata di esse porteranno il giudice allo sconvolgimento e finirà per ammattirsi  e scappare dalla moglie e dalla famiglia. 
Un racconto noioso, ripetitivo, traboccante di vicende, senza molti momenti da dedicare alla riflessione. Un racconto contro i pregiudizi, anche se di pregiudizi è fondato. Ma quale messaggio il marchese de Sade ha voluto lasciare? Il messaggio della Natura, e non poteva essere altrimenti: se gli uomini sono diversi tra loro, allora è ingiusto pretendere che esistano leggi uguali per tutti. Di conseguenza devono essere legittimati persino i delitti più orrendi. In fondo chi sono i giudici che si permettono di giudicare contro natura? Piuttosto dovrebbero pensare di più a godere!

1 set 2012

Horror pleni - Gillo Dorfles (Saggio - 2008)


"Il tempo di un Paese e dei suoi abitanti, dunque - nonostante la presunta globalizzazione e gli scambi incessanti tra i popoli - rimane ancora ancorato a quello che è lo stadio evolutivo, piuttosto che alla sua peculiarità etnica. Per cui la concezione temporale non potrà uniformarsi a quella dominante sul pianeta se anche il linguaggio non avrà compiuto una sua lenta, ma inesorabile, evoluzione (o involuzione)".

Non esiste uno spazio vuoto. Etere, muri di città, strade: nulla respira. Nella nostra società del consumismo siamo saturi di messaggi, siamo bersagliati da informazioni che spesso non hanno consapevolezza in noi. È un bene tutto ciò? Ecco una delle domande che si pone l’autore di questa raccolta di articoli rielaborati e già pubblicati dal 'Corriere della Sera'. Viviamo in una società in cui 'la (in)civiltà del rumore', come recita il sottotitolo, è pregnante, assuefacente. Politica, letteratura, arte, moda, siamo assuefatti dalle novità, dall'originalità a tutti i costi e non c'è più spazio per lo stupore. Una pioggia battente e costante che scivola sulla nostra pelle di plastica. L’inquinamento prodotto da notizie-proiettili che non riusciamo a schivare e che ormai ci vedono impermeabili, il rumore fastidioso quanto orripilante che coinvolge tutti i nostri sensi, ecco cosa ci resta di questo bombardamento. 
Altra domanda dunque: presa coscienza di tale inammissibile bombardamento, siamo costretti a subirne inevitabilmente il rumore o possiamo ritagliare uno spazio per reagire? Per Dorfles innanzitutto serve avere consapevolezza del mondo che ci circonda, solo dopo possiamo pensare di affrontarlo. Occorre pertanto affinare le proprie capacità critiche, carpire il senso del tempo libero, recuperare autonomia, individualità. Gli strumenti per agire in tale senso ci sono: l’estetica come promotrice di differenziazione, ad esempio, prestare attenzione al linguaggio, all'educazione, al buon gusto; tutte armi per attraversare la guerra contro l'appiattimento e il rumore.

Alcune considerazioni del filosofo e critico d’arte possono apparire ovvie, in alcuni casi persino banali, tuttavia celano sempre qualcosa di ben più profondo e attento. È una raccolta intelligente, per lo più condivisibile; un libro di critica, ma che non si limita solo a ciò e cerca di trovarne rimedio.

31 ago 2012

I neoplatonici - Luigi Settembrini (Racconto - 1859)


"Unsero bene e la chiave e la toppa, e così Doro senza molta fatica sua e senza molta noia di Callicle entrò vittorioso: a lo stesso modo entrò Callicle ed ebbe una simile vittoria; e così furono contenti tutti e due e goderono il primo frutto del loro amore".

Siamo nell'Antica Grecia e Settembrini si nasconde dietro il resoconto di un fantomatico Aristeo di Megara, l’autore di una storia scabrosa quanto scandalosa. Callicle e Doro, amici sin dall'infanzia, sono inseparabili. Belli, invidiati e pretesi, presto si innamorano e scoprono i piaceri del sesso. Sono due giovani innamorati, capaci di ragionare, di riflettere sulle emozioni, senza gelosie e invidie, in grado di decidere e di vivere il piacere comune e personale, di restare fedeli tra loro nonostante il pensiero platonico li inviti a non perseguire l’idea della famiglia... Accortosi di questo innamoramento squisito e serafico, Codro, allievo di Platone e maestro di filosofia ad Atene, invita i due bellissimi efebi, scopritori e sperimentatori arditi, forti del loro pensiero dedito alla conoscenza, a imparare l'arte dell'eros. E a casa del filosofo vivono e imparano (compreso il maestro stesso) l'ebbrezza divina di un ménage à trois. Le avventure continuano. Durante una festa i due amanti si dividono e Callicle si perde per la prima volta nell'estasi inebriante di un rapporto eterosessuale; con Innide, una bellissima ragazza ateniese. Raccontata l'esaltante avventura a Doro, Callicle lo invita a unirsi con la disinibita fanciulla - figura corposa e non secondaria nell’economia morale del racconto - e i due giovani hanno nuovi argomenti filosofici su cui discutere abbracciati di notte. Dopo altre avventure, militari anche, i due ragazzi resteranno legati per sempre, sebbene si innamoreranno di due donne con cui avranno dei figli e formeranno due bellissime famiglie.
Piccolo gioiello, con divertenti doppi sensi e ironiche metafore che si velano dietro colte citazioni e con un finale emozionante per stile e significato, ci mostra come l'arte fa bella anche l'oscenità. Un racconto erotico, omosessuale addirittura, scandaloso per la memoria storica e per molti moralisti; il rigoroso e austero patriota Settembrini ci lascia un’opera dinamica, dalla narrazione leggera e gustosa, un libro morale.

Il volumetto si chiude con una nota di Beppe Benvenuto che tratteggia le contraddizioni tra la figura pulita dell'autore e l’apparente dissolutezza del racconto.

29 ago 2012

Papini, Vailati e la "Cultura dell'anima" - AA. VV. (2009/10)


"Questo modo di fare cultura attraverso il libro, con il libro e per il libro mi sembra agli antipodi di certe distopie, figlie di innegabili politiche depauperatrici, che sono rappresentate, per esempio, in 'Fahrenheit 451'; laddove i personaggi di Bradbury riducono la cultura in cenere, le edizioni Carabba tentano di togliere la polvere che vi si è depositata sopra: se, come già detto, il primo caso è distopico, nel secondo abbiamo la felice trasformazione di un'utopia in realtà".

Questa notevole raccolta di saggi traccia un percorso e definisce alcuni importantissimi momenti della vicenda dell’editoria italiana. Il volume, infatti, è la storia della nascita della pregiatissima collana 'Cultura dell'anima', la storia della splendida collaborazione tra Papini e Vailati e le idee editoriali del coraggioso e sagace Rocco Carabba, ed è anche il racconto del contesto storico e culturale che si respirava nei primi decenni del '900 in Italia e in Europa. 
Il volume (che potete acquistare qui:  http://editricecarabba.it/?p=552  -) è diviso in due parti. La prima è dedicata sostanzialmente alla figura di Giovanni Papini. Si racconta dello storico dissidio con Prezzolini; dell’amicizia con l'editore Rocco Carabba; la fiducia che gli fu concessa; l’evoluzione - o per alcuni involuzione - intellettuale e filosofica di Papini, oscillante tra pragmatismo, scetticismo e cristianesimo, che lo portò alla conversione religiosa, causa di fratture non solo intime. In questa prima parte si scrive anche di chi in quegli anni era tra le personalità di spicco dell’intellighenzia italiana. Quindi ecco Benedetto Croce, descritto nella sua espressione ambigua: antifascista che ha dato impulso vitale al fascismo, antimarxista che in gioventù era marxista. Ma non si dimenticano, anche se solo citati, un Rensi, un Pirandello…
La seconda parte, invece, abbozza un ritratto dell’altro protagonista della collana: il filosofo e matematico Giovanni Vailati. Si scrive molto del suo interesse per la scienza e la filosofia del linguaggio, per Aristotele, per il pragmatismo. Oltre a ciò sono davvero interessanti i saggi rivolti ai professori abruzzesi di storia della filosofia che tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento hanno animato il dibattito culturale non solo italiano.
Nella sostanza, in questi atti del convegno è messo a nudo lo scontro senza compromessi tra la corrente pragmatista e positivista da una parte, e l’imperante, almeno in Italia (in Europa il dibattito si era esaurito da decenni…) idealismo, l’antimaterialismo, l’antisensismo: i due fronti opposti che si contendevano il primato culturale in un'Italia che cercava di ritrovare un ruolo di primaria importanza nel contesto europeo, ma che non riusciva a produrre idee originali. Ma sono anche saggi divertenti, benché linguaggio e forma siano accademici, dove i legami, gli scontri tra i molti e vitali intellettuali (non mancano gossip e aneddoti curiosi, difficili da trovare nei soliti manuali) fanno di questo volume un libro pregevole.

Insomma, un omaggio all'Abruzzo, ai suoi intellettuali del primo Novecento, a Papini e Vailati, alla preziosissima collana 'Cultura dell'Anima' della Casa editrice Rocco Carabba che di questo fermento intellettuale è stata complice e promotrice; un omaggio e una speranza per il ritorno della casa editrice di nuovo impegnata a ritagliarsi un ruolo elegante in un mondo che oggi di elegante ha ben poco.

25 ago 2012

La volontà di essere felici - Thomas Mann (Racconti - 1896/1905)


"Credere, poter credere al dolore... Ma egli credeva al dolore, così intimamente che, qualsiasi cosa gli accadesse nel dolore, non poteva ritenerla né dannosa né cattiva. Il suo sguardo si posò sul manoscritto e strinse ancora di più le braccia al petto. Il talento stesso non era forse sofferenza?"

Quattro racconti in cui l’Italia, la bellezza, la malattia, lo scetticismo sembrano sfondo comune che si interseca con i temi dell’arte come etica, sacrificio, fatica, sudore.

La volontà di essere felice
Paolo, compagno di scuola del narratore, di salute cagionevole, dalle velleità artistiche, dopo aver ricevuto un rifiuto alla sua proposta di matrimonio da parte del padre della ragazza che amava, senza avvisare nessuno scappa da tutti. Per cinque anni viaggia per il mondo e continua a vivere in bilico tra la vita e la morte. Poi una lettera, il padre dell'amata che dà il consenso alle nozze, il matrimonio, la morte di Paolo la notte stessa della festa nuziale. Ormai non aveva più motivo di combattere contro la morte. Ormai era felice, trionfante.

La delusione
Il protagonista di questo racconto, solitario e stravagante, si sfoga con uno sconosciuto, descrivendo il suo malessere e lo scetticismo che lo permea fino alle ossa.

L'armadio
Un uomo, distinto ma strambo, si abbandona a un estremo scetticismo e lascia che il tempo e gli eventi lo sopraffacciano. E nonostante ciò si sente libero. Incontra una donna fantasma dentro un armadio e ogni cosa diventa sospesa, come il finale... Un racconto decadente.

Un'ora difficile
Un artista, un uomo malato, riflette sull'arte, sulla scrittura, sul talento, sulla fatica e sul dolore che si deve provare quando si crea un'opera d'arte.

Si ha l’impressione che Mann, nei suoi personaggi così malati nel fisico e nell’animo, abbia cercato di ordinare il mondo, la sua catastrofe. Si avverte molto la presenza di Nietzsche. Racconti molto interessanti, profondi.

18 ago 2012

L'amante - Marguerite Duras (Romanzo - 1984)


"E la ragazza si era alzata come per andare a uccidersi a sua volta, a buttarsi a sua volta in mare e poi aveva pianto, perché aveva pensato all'uomo di Cholen e tutto a un tratto non era più sicura di non averlo amato, solo che quell'amore non l'aveva visto perché si era perso nella storia come acqua nella sabbia e lei lo ritrovava soltanto ora, nell'istante della musica sul mare".

Romanzo autobiografico, un romanzo di ricordi, una pennellata amara dell’Indocina francese degli anni Trenta. Racconta la passione di un intenso rapporto erotico e d’amore che rivelerà, alla quindicenne protagonista, un distacco dalla famiglia quasi connaturato, dalla madre soprattutto e le consentirà di capire quanto amore e soprattutto quanto odio covava in lei. 
Tutto ha inizio con un viaggio su un traghetto per Saigon, sul Mekong. Da qui comincia una relazione lunga un anno e mezzo, in cui la scrittrice francese scopre le gioie e i dolori dell'eros con un ricco ventisettenne cinese. Lui innamorato, quasi adolescente; lei fredda, distaccata, ma mai insincera, quasi donna matura. La ricerca di indipendenza, il sacrificio della povertà, quest’amore vissuto senza troppi pensieri peccaminosi e immorali sono la cornice del confronto-scontro della narratrice con la famiglia. Conflitto anche sconfinato con la madre; ribellione e ricordi diventeranno centrali nel racconto. 
Un romanzo breve che si dilunga su dettagli che nell'economia della storia potevano essere risparmiati, ma molto interessante per la frammentarietà della storia, con i continui rimandi a eventi e periodi diversi, per i salti temporali, per i discorsi diretti che si alternano agli indiretti. È, in sostanza, la storia di un viaggio, fisico, pedagogico, morale, così come è un viaggio verso un certo sperimentalismo che non disturba.
Il finale, forse un po’ troppo romantico, è davvero incantevole.

7 ago 2012

Calende greche - Gesualdo Bufalino (Romanzo - 1992)


"Sapesse, l'Adorata, quante sere prima d'addormentarmi ho assaporato la fantasia di consolarla nella penombra d'una cantina, durante un bombardamento che ci avesse entrambi sorpreso per strada, e di balbettarle all'orecchio, sotto la nuvola morbida dei capelli, una cosa indimenticabile..."

Nasce un bambino dalle sembianze di vecchio, scopre la luce e l'ombra, sua contraddittoria compagna; un'infanzia di carnevali, di sogni, di fantasie; cresce nell'estasi dell'immaginazione, assapora la musica delle parole, il sudore del peccato. Conosce il sesso, quello vizioso, quello delle fantasie; diventa adulto... Un paese forziere il suo; poi la guerra e la sua inettitudine; la malattia incinta di riflessioni sulla morte; l’unta guarigione; gli amori non corrisposti e quelli vissuti; la lotta con un Dio che si nasconde e non esiste; la pluralità della Sicilia; la morte, la paura di morire e al contempo la paura di vivere la vecchiaia.
Romanzo, autobiografia, trucco e solluchero, è il racconto di una vita narrata da una memoria balbuziente e volutamente menzognera - memoria e fantamemoria che passeggiano a braccetto -, lo sforzo di trovare un momento che non arriverà mai, o meglio, non fu mai propriamente così. È il profilo di un malessere, di un’esistenza che nasconde serpi dietro ogni piega del cervello, di una claustrofilia, della continua ricerca di luoghi entro cui penetrare e al tempo stesso uscire, che siano essi isola, ventre materno, utero di donna…
In questo tentativo di romanzo infinito, la menzogna, il gioco, l’eversione delle parole, gli ossimori non solo linguistici, tratteggiano la biografia di un fantasma. Una sinfonia fragorosa di parole dove vivere è morire, è un cerchio perfetto del nulla, dove è fortissimo il contrasto tra la descrizione dell'infanzia e della giovinezza con la costante idée fixe del narratore che prima o dopo dovrà morire.
Frammenti di ricordi (a tratti ricorda Proust), di desideri, di fantasie si evolvono in uno scritto assolutamente articolato, moderno, in cui l’uso alternato delle tre persone, prima, seconda e terza, così come la presenza di tutte le forme letterarie già utilizzate in passato da Bufalino, mascherano un’intenzione di presa in giro e di esperimento. È, se vogliamo, un romanzo summa, il compendio del pensiero poetico che si manifesta anche nella scelta da parte dell'autore di prendere in prestito dalle altre sue opere interi brani, quasi ad animare come un Frankenstein moderno un'opera che avesse vita propria e infinita. 
Impossibile non emozionarmi di fronte a pagine come quelle in cui descrive la nascita o dove ricorda un compleanno... Uno dei pochissimi scrittori che nella rilettura riesce ad appassionarmi e a farmi scoprire nuove riflessioni e nuove emozioni.
Un libro che commuove dunque, che, per mezzo di parole inanellate a formare note su uno spartito, crea brividi e vibrazioni.

Da segnalare l'ottima prefazione di Traina.

31 lug 2012

Carmilla - Joseph Sheridan Le Fanu (Racconto - 1872)


"Con tutte quelle precauzioni potevo dormire tranquilla. Ma i sogni passano attraverso i muri di pietra, illuminano le stanze più buie e gettano le tenebre in quelle illuminate, e i loro personaggi entrano ed escono ovunque a loro piacimento, ridendosela di tutti i lucchetti".

Ci sono tutti i crismi del racconto dell'orrore: un castello gotico isolato e circondato da sterminate foreste, un cimitero abbandonato e ricoperto di edere, una donna vampiro, una sottile vena erotica, visioni spettrali, ingenuità romantiche, presunzione di razionalità; un piccolo capolavoro di genere.
La narratrice, Laura, racconta di una amicizia, morbosa, velatamente omosessuale, verso una bellissima e misteriosa ragazza che per un caso fortuito è ospitata da lei e dal padre. Carmilla, questo il suo nome, si rivelerà un vampiro che alla fine sarà stanato...
Se siete appassionati del genere, il racconto lungo dello scrittore irlandese è un vero gioiello.

30 lug 2012

Arancia meccanica - Anthony Burgess (Romanzo - 1962)


"Poi, fratelli, venne. Oh, estasi, estasi celeste. Giacevo tutto spalandrato verso il soffitto, il planetario sulle granfie, fari chiusi, truglio aperto per la beatitudine, snicchiando il fiotto di suoni meravigliosi. Oh, era magnificenza e magnificità fatta carne. I tromboni sgranocchiavano oro rosso sotto il mio letto, e dietro il planetario le trombe fiammeggiarono argento per tre volte, e là vicino alla porta i timpani rotolarono dentro le mie viscere e poi uscirono e si sgretolarono come tuoni di zucchero. Oh, era la meraviglia delle meraviglie! E poi, come uccello dei più rari che vorticava metaceleste, o come vino d'argento che scorreva dentro una nave spaziale, con la gravità che non aveva più senso, arrivò il violino solista sopra tutti gli altri archi, e quegli archi erano una gabbia di seta intorno al mio letto. Poi il flauto e l'oboe perforarono come vermi di platino la spessa, grossa caramella oro e argento. Ero in piena estasi, fratelli."

Alex, giovanissimo protagonista e amichevole narratore, è un teppista, uno di quelli il cui unico divertimento risiede nella violenza gratuita. In compagnia di altri tre ragazzi, affronta la noia della vita abituandosi alla routine della brutalità. Una violenza che diventa ordinaria e che, alla lunga, anch'essa annoia e spinge Alex a pretendere sempre più, sempre più ferocia... E così, vittima del tedio e della vendetta dei suoi amici di banda, finisce in carcere e per uscirne velocemente accetta di essere sottoposto a una cura: la 'Ludovico'. Questa fantomatica cura è un lavaggio del cervello vero e proprio che porterà il protagonista a star male di fronte ai suoi istinti animaleschi, annullando così il suo essere spontaneo e portandolo persino a desiderare la morte. Solo il tempo, nell'ultimo capitolo di Burgess, solo la maturazione e il confronto con la società potranno portare Alex a divenire un uomo accettato e accettabile in una collettività conformata e regolata.  Sebbene sia geniale il pessimismo finale della meravigliosa e sublime trasposizione cinematografica di Kubrick (a cui non si può fare a meno di pensare) che non prende in considerazione il postumo ultimo capitolo dello scrittore inglese, Alex nel romanzo elabora la sua crescita e ci saluta con una nota di speranza...
Alex, in fondo, non è nient'altro che il nostro inconscio, la nostra parte che è libera da qualsiasi condizionamento e pretende ciò che vuole a ogni costo. Incarna il principio del piacere freudiano che mal sopporta schemi e imposizioni, ma che vuole essere unicamente libero. Una libertà sconfinata però, che, vecchio discorso, sconfina nelle libertà degli altri. È l’emblema dell'homo homini lupus! In tutto questo, Alex è anche l’emblema della contraddizione. È aggressivo, gratuitamente violento ma, al contempo ama la bellezza, ama la musica, ama la filosofica sinfonia n. 9 di Beethoven con il suo messaggio di gioia e fratellanza… 
Con uno stile originalissimo, con un linguaggio modernissimo che ti catapulta in un futuro non lontanissimo, carico di gergo surreale, di neologismi e di espressioni che sembrano modi di dire ma che non sono mai stati detti, con magnifiche descrizioni di spazi e della forza assoluta della musica (altra grande protagonista), colmo di ossimori del senso comune è un romanzo geniale. Un romanzo sulla scelta, sulla responsabilità, che esplora i rapporti tra arte e violenza, tra bellezza e libertà, tra impulsi razionali e società, tra delitto e castigo, un romanzo persino sulla politica...
Un libro filosofico con, tra le diverse, un'idea di fondo: che la malvagità è nell'uomo e, nonostante i condizionamenti sociali, un sostrato di violenza ne resta a fondamento. Un trattato sul contrasto tra physis e nomos dunque. Un libro arcaico, prezioso, che tocca e parla di tutti; un libro dell'antica Grecia, insomma.

26 lug 2012

Le donne al parlamento - Aristofane (Teatro - 392 a. C.)


"BLEPIRO: mettiamo che uno si prenda una cotta per una ragazza e voglia scoparsela; per farle un regalo dovrà attingere al patrimonio di tutti, ed ecco il suo comunismo!
PRASSAGORA: Potrà andarci a letto gratis: anche le donne verranno messe in comune: staranno con chi le vuole e faranno figli con chi le vuole.
BLEPIRO: Ma allora succederà che tutti andranno dalla più bella e vorranno farsela.
PRASSAGORA: Accanto alle belle staranno le brutte e rincagnate; chi vuole la bella dovrà prima farsi la brutta.
BLEPIRO: Già: ma noi vecchi, se facciamo l'amore con le brutte, l'uccello non ci pianterà in asso prima di arrivare al punto che tu dici?"

Nel pieno di una notte, un gruppo di donne capeggiate da una pepata Prossagora, giovani e anziane, travestite goffamente da uomini, prepara il discorso da esporre il giorno dopo nell'Assemblea popolare della città. Qui, con l'inganno e la retorica, ottengono la maggioranza e deliberano una nuova costituzione: tutti sono uguali e tutti i beni, comprese le donne e i rapporti sessuali, devono essere in comune. È la scimmiottatura di un comunismo ante litteram, la caricatura, divertente e al contempo tragica, delle idee sulla Repubblica di Platone. È anche la commedia del contrasto tra l'intelligenza delle donne e l'ottusità degli uomini, con lo scopo di rivelare satiricamente la confusione dei movimenti di pensiero politico di quel periodo.
Il sesso è elemento di potere, anziché di piacere, e quest'idea si insinua brutalmente sin dalle prime pagine dell’Ecclesiazuse. Le donne, vecchie e giovani, si troveranno ingarbugliate nei loro comuni desideri sessuali, mostrando l'assurdità del comunismo primitivo, mentre gli uomini saranno inghiottiti dall'ingordigia delle donne. E così la descrizione di un’utopia presto diventa un incubo di assurdità e confusione. 
È una spassosa opera razionale, carica di allusioni sessuali e doppi sensi; è una commedia amara. Si ride e si pensa contemporaneamente, ma alla fine, di fronte all’inconcepibile, ogni cosa ritorna allo status quo. Se gli uomini sono presi in giro per la loro inettitudine, nemmeno le donne, una volta data loro la possibilità di riscattarsi, se la passano bene. 
Un'opera sugli eccessi, dunque, sulla loro pericolosità.

6 lug 2012

Il ballo - Irène Némirovsky (Racconto - 1930)


"Quattordici anni, i seni che premono sotto l'abito stretto da scolara, che feriscono e impacciano il corpo debole, infantile... I piedi grandi e quelle lunghe bacchette con all'estremità due mani arrossate, dalle dita sporche d'inchiostro, che magari un giorno diventeranno le più belle braccia del mondo... Una nuca fragile, capelli corti, incolori, secchi e leggeri..."

In questo incalzante e raffinatissimo racconto lungo, Antoinette, una quattordicenne che sin dalle prime pagine si presenta insofferente, si sente soffocata dalla presenza dei genitori. E, nonostante la giovane età, ricorda con ardore i severi rimproveri, seppur lontani nel tempo, impartiti dai genitori alla presenza di altri. Cresce quindi nella giovane, piano piano, ma caricandosi sempre più ferocemente, un sentimento di fastidio, di irrequietezza, che quasi sfocia nell'odio. Antoinette è sognatrice, dall'intelligenza affilata; i genitori invece, diventati ricchi improvvisamente, preoccupati di apparire opulenti più che ricchi di esperienza e di fatica, non riescono a cogliere la sensibilità e i desideri della figlia adolescente. La madre sopratutto, la vera antagonista.
Ecco quindi i temi principali di questo bellissimo racconto: lo scontro tra madre e figlia, tra la spavalderia dell’adolescenza e l’ottusità della maturità, l’ipocrisia sociale, la vendetta...
Si deve organizzare un ballo, uno di quelli dove si fa sfoggio delle proprie ricchezze e del proprio potere e si ha la sensazione di essere finalmente accettati in un mondo che prima si agognava e si vedeva lontano. Antoinette è coinvolta: deve scrivere i biglietti di invito; è coinvolta soprattutto nei suoi sogni di principessa… Eppure i suoi sono solo sogni. I genitori le proibiscono di partecipare al ballo. Eccola dunque la vendetta, terribile perché senza i limiti della ragione; terribile perché partorita da una mente in preda alla passione. La vendetta è voluta, bramata, malgrado ciò non è architettata, premeditata nei dettagli. Si presenta un'occasione, non calcolata, e Antoinette, ritrovate per caso tra le mani gli inviti da imbucare, senza pensarci due volte li accartoccia e li getta nella Senna. Dopo estenuanti preparativi, dopo una lunga e corrosiva attesa, quando ogni cosa è lucentemente pronta, gli invitati non arriveranno al ballo. 
La vendetta è compiuta, i genitori e la madre su tutti sono disperati, impotenti di mostrare il loro vano potere…
In verità non è tanto la vendetta in sé a essere tremenda, quanto quell’agghiacciante abbraccio finale alla madre, privo di un qualsiasi briciolo di rimorso, di una quattordicenne ormai con un piede sul sentiero della maturità.

5 lug 2012

Sillogismi dell'amarezza - Emil Mihai Cioran (Aforismi - 1952)


"Per quanto si estende il mio ricordo, non ho fatto altro che distruggere in me la fierezza di essere uomo. E deambulo alla periferia della Specie come un mostro timoroso, senza la levatura sufficiente per proclamare la mia appartenenza a un altro branco di scimmie".

Se volete leggere un pensatore del '900, che ha alle spalle l'intera storia della filosofia, che al culmine del suo percorso giunge alla disperazione dello scetticismo, all'eleganza della parzialità, alla raffinatezza dell'insensatezza, al dolore dell'esistenza, avete trovato il vostro filosofo. Una sfiducia totale nell'uomo, un’attenzione maniaca sui suoi limiti, uno scetticismo estremo, per nulla moderato, l'universo di Cioran è tormentato e sospeso tra i punti di sospensione e il punto di domanda. Non c’è alcuna prospettiva né fiducia nel futuro in questo mondo; la verità è multiforme, impalpabile, così come la vita è segnata dall’angoscia. Non ci resta che esaltare lo scetticismo e attendere impazienti che la morte ci annulli completamente. 
Tra numerosissimi cenni di scrittori e filosofi maestri di profondità e incoerenza, Cioran avverte il bisogno di giustificare l'aforisma, l'incompletezza di un pensiero che non è mai in grado di cogliere assoluti e sintesi. Si possono, gli aforismi, solo infiocchettare, ma solo perché si sbatte la testa contro la disperazione. Sono aforismi poetici, stilisticamente coinvolgenti, non crudi, bensì espressione di passione e profondità.

In questo periodo di crisi economica, sociale e culturale, le parole di Cioran sembrano profetiche, sembrano colpi di martello su una scricchiolante parete di gesso.

29 giu 2012

Sonetti d'amore - William Shakespeare (Poesia - 1609)


"Il mio occhio e il mio cuore sono in guerra mortale/ su come dividersi la conquista della tua visione:/ l'occhio vorrebbe sbarrare al cuore la tua immagine,/ il cuore all'occhio la libertà di quel diritto./ Il cuore afferma che tu dimori in lui,/ scrigno mai violato da occhi cristallini,/ ma il convenuto nega un simile argomento,/ dicendo che il tuo bell'aspetto in lui dimora". 

In questi ultimi anni la mia indifferenza verso la poesia e verso i poeti è stata considerevole; basta scorrere i titoli dei libri che ho avuto tra le mani e notare quanti libri di poesia ho letto… Si contano sulle dita di una sola mano i poeti di cui ho veramente stima. I 'Sonetti' di Shakespeare, letti una volta più di un decennio fa, paragonati alla qualità sublime della sua produzione teatrale, mi apparvero ben poca cosa, sebbene qua e là qualche guizzo di genio si manifestasse e brillasse al pari di un dialogo di tragedia. E riletti, oggi, è mutato il mio parere, la mia indifferenza? Direi di no…
In questa edizione, una corposa antologia dei sonetti più belli, l'introduzione parte da dieci parole chiave per cercare di cogliere aspetti biografici preziosi e per capire meglio la composizione dei versi. E non mancano aneddoti e curiosità interessanti, seppur scarni e poco esaustivi.
L’amore è il protagonista assoluto dei versi shakespeariani, declinato in tutte le sue forme: l’amore platonico, l’amore bisessuale, l’ossessivo amore filiale, l’amore crudele, l’amore infedele, che si dividono tra i protagonisti dei versi: un misterioso e bellissimo giovane e un'oscura dark lady. Ma l’amore non è l’unico tema dominante. Il desiderio di bellezza, l’odio profondo contro la corruzione del tempo, la paura di quest’ultimo perché corrompe i corpi, la bellezza e affievolisce l'amore, colorano e imbellettano i sonetti e tratteggiano anche, se vogliamo essere sprezzanti, un poeta frivolo, legato al presente e alla bellezza materiale. Eppure non è del tutto così capriccioso e superficiale quanto sembra. La paura dello scorrere imperturbabile del tempo, infatti, può essere sconfitta. Dalle parole, dalla poesia, dall'arte; ecco vibrare il genio…

Ad ogni buon conto, otto volte grazie.

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