Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

26 set 2012

Notti sull'altura - Giuseppe Bonaviri (Romanzo - 1971)


"La cantilena continuava, alterna, e s'alzava nei fianchi della valle, e già non ci sembrava estranea variazione della notte, anzi, per i mutevoli mantelli piovosi tuttora visibili verso la piana di Càtana, ci dava maggior voglia nel considerare l'infinitesimo strato di polvere lunare calante dall'alto, e a sua volta a molti uomini della squadra sembrava che i vicini burroni non fossero più tali, ma un miscuglio di titanio, di berillio e di iridio che sciogliendosi in diverse tonalità triplicavano le vibrazioni della luce".

La storia ha inizio quando, morto suo padre, Zephir, lo stesso narratore, dopo un viaggio in aereo in compagnia di Aramea, che dentro un taschino del cappotto teneva un bambino (sic.), giunge dal fratello e al suo paese d'origine. E da questa morte iniziano a presentarsi strani segnali, arcani da capire, e la storia comincia a ingarbugliarsi. Si cerca un uccello magico, un tanatouccello portatore di morte, una chimera che svolazza per i cieli della Sicilia. Diversi uomini, alcuni persino non inventati, dotti, astrologi, scienziati, astronomi, avviano battute di caccia per mesi e mesi, sfiorando l’uccello più volte ma senza mai catturarlo. Tutti questi personaggi hanno qualcosa di magico. Parlano con la Luna (che con i suoi influssi è una protagonista della storia), leggono messaggi dai tronchi, dai vegetali, dalle pietre, viaggiano tra pianeti e la Via Lattea; cercano di essere un tutt'uno con la natura, dibattono e ricercano sogni metafisici vani come le speculazioni sulla vita e sulla morte...
Ci troviamo di fonte a un romanzo di nomi di favola, di luoghi colorati - alcuni notturni altri luminosi come in alcune storie da 'Mille e una notte' -, di avventure e cacce, di viaggi che partendo dalla morte ricercano un effimero senso alla vita, di ricerca del padre. È un racconto magico, una favola antica, in una Sicilia incantata e miracolosa, dove il cuore dell’isola è ombelico dell'universo dietro i cui nomi, che sembrano d'altri tempi, si celano amici, parenti e arabeggianti luoghi siciliani cari allo scrittore di Mineo.
Lo stile baroccheggiante insaporisce la storia e la rende ancora più misteriosa e fiabesca però rallenta la fluidità della lettura. È una storia lunga, verbosa; un libro aggrovigliato, di certo non facile.

21 set 2012

Piccole scene amorose - Pierre Louÿs (Racconti - 1927)


"Sei proprio gentile, Simone, a ospitarmi nel tuo letto... Ma non vorrei scandalizzarti".
"E come?".
"Non posso addormentarmi senza... senza...".
"Ah! sei stata proprio cortese a dirmelo. Io l'avrei fatto senza confessartelo".
"Ah! tu pure?... Ma tutto il letto trema, sappilo, quando io lo faccio. Per questo ho preferito avvertirti...".

Se volete eccitarvi, nel vero senso della parola, non potete non leggere questa spassosissima raccolta di scenette dialogiche a sfondo libidinoso. Brevissime e veloci scene; in poche battute sono descritti amori lesbici, confidenze erotiche, giochi onanistici a bizzeffe, ménage à trois, immaginazioni, desideri, voluttà, carnalità… Sono quasi unicamente donne le protagoniste che si raccontano, senza pudicizia, senza pregiudizi. Ma non tutto è innocente e gustabile: sono infatti raccontate storie estreme, spesso incestuose, di coprofagia, persino di pedofilia che non hanno nulla di eccitante e provocante.
Nonostante il divertimento dei dialoghi, e per i finali con battute divertenti e rosse di imbarazzo, la lettura dopo poche pagine diventa ripetitiva. Ecco perché è un libro che andrebbe letto a piccole dosi. Tre, quattro scene al giorno, come una medicina contro l'ipocrisia. È dunque un libro da tenere sotto chiave e mostrare solo in occasioni innocenti e irreprensibili.

Naturalmente si astengano dalla lettura puritani e bigotti, rischiano mostruosi sensi di colpa e ipocrite autoflagellazioni notturne.

20 set 2012

Teologia portatile. Piccolo dizionario della religione cristiana - Paul - Henry Thiry d'Holbach (Dizionario - 1767)


"CRISTIANO. È un buon uomo, una pecorella del buon Dio che, nella semplicità del suo cuore, è persuaso di credere fermamente le cose incredibili che i suoi preti gli hanno detto di credere, soprattutto quando non ci ha mai pensato. Di conseguenza è persuaso che tre non fanno che uno, che Dio si è fatto uomo, è stato appeso, è resuscitato, che i preti non possono mai mentire e che coloro che non credono ai preti saranno condannati senza remissione".

Del divino barone d'Holbach abbiamo più volte scritto e apprezzato la figura e l'opera filosofica. Sarà bene riscriverne: è troppo spesso ignorato e in questi momenti di assolutismi (più strombazzati che seguiti in verità) è bene ricordarlo. Mi ripeterò, lo so, ma non posso farne a meno.
Questo dizionarietto, come tutta l’opera d’holbacchiana, è un libro pericoloso, incendiario. Secondo il barone, e non solo, la religione è frutto dell'ignoranza e dell'immaturità umana di fronte alla vita e ai suoi pericoli. Purtroppo, per mezzo della menzogna della casta sacerdotale, malattia del sistema politico, la religione si è istituzionalizzata: è diventata facile e machiavellico strumento per regnare. I preti, quindi, potenti e prepotenti, dopo che per mezzo di estorsioni e terrificanti messaggi dal falso scopo educativo hanno bendato gli uomini che non possono né vogliono vedere la verità, dopo che con le loro menzogne hanno da sempre sottomesso l’autorità dello stato, sono i veri monarchi da smascherare. Ecco il compito rivoluzionario del volume: scardinare il poderoso connubio tra Chiesa e Stato che vede quest'ultimo succube della prima. Non notate nulla di attuale?
Il dizionario è introdotto da un sarcastico "Discorso preliminare", il quale sintetizza e rende discorsivo il senso dell'elenco dei lemmi considerati per spiegare la teologia, quella gigantesca impostura causa di tanti mali e ignoranza. Anche la definizione dei lemmi è sarcastica, beffarda, fulminea. Le sentenze sono agili, non c'è un ragionamento dietro, nessuna argomentazione; sono solo valanghe di bombe corazzate di evidenza, di storia, di fatti visibili a tutti, ma che tutti fanno finta di non vedere.
È un libro luminoso, scattante, che nelle intenzioni dell'autore doveva servire a rischiarare le menti, a illuminare la verità. È un libro che, purtroppo, nonostante certi estremismi e certi anacronismi, deve essere ancora letto e riletto.

Di utilissima contestualizzazione l'introduzione del prof. Tomaso Cavallo, che, chiarendo il senso della ‘Teologia portatile’, tra l'altro, paragona i diversi autori di dizionari tanto di moda nel secolo dei Lumi.

17 set 2012

"La felicità esiste, ne ho sentito parlare". Gesualdo Bufalino narratore - Giuseppe Traina (Saggio - 2012)


"La grandezza letteraria (e morale) di uno scrittore, e soprattutto della sua opera, si misura considerando, innanzitutto, l'eredità che lascia agli scrittori successivi e soprattutto ai lettori: la sua capacità di parlare ancora, 'post mortem', ad essi. Parlare, ovvero sollecitarne le risposte: qui ed ora, una volta che la sabbia della battigia abbia assorbito la risacca effimera delle mode letterarie". 

Il volume raccoglie i saggi che il professor Traina ha dedicato alla figura di Bufalino narratore. Solo poche pagine sono inedite. Gli scritti abbracciano l'intera opera narrativa bufaliniana (ad eccezione dell'incompiuto 'Shah-mat') e cercano di mostrare, brillantemente direi, la natura inattuale e al contempo modernissima, e dello stile e della poetica, di uno scrittore coltissimo, carico di senso, postmoderno; superbo, tra i più grandi della seconda metà del ‘900.

P.S. Veste grafica e formato del libro infelici.

16 set 2012

Il castello di Crowley - Elizabeth Gaskell (Racconto - 1863)


"L'amore era da lungo tempo scomparso dall'abitazione di quella coppia: un'abitazione, non una casa, persino nei giorni migliori. L'amore era uscito dalla finestra, prima ancora che la povertà entrasse dalla porta: eppure quella spietata ospite, che non tarda a scovare un giocatore poco raccomandabile, era arrivata".

Una visita a un castello normanno in rovina, edere che ne ricoprono le mura, boschi, un ponte su un fossato asciutto, un cimitero semi abbandonato, un vecchio custode testimone di una decadente storia: inizia in questo modo il racconto della scrittrice inglese, un invitante impasto di topos del ghost-story ottocentesco. Eppure questi elementi sono solo pretesti che danno alla narratrice l’occasione di riportare il racconto del vecchio guardiano sulla sfortunata Theresa Crowley. Promessa sposa a un brillante cugino, Duke, Theresa gli mostra sin dall'infanzia una certa indifferenza e così a Bessy, figlia del vicario e amica di giochi e innocenze. Mentre per tre anni il cugino sarà assente per il grand tour in Europa, l’adolescente Theresa si trasferisce a Parigi per crescere in eleganza e raffinatezza. Qui, sedotta dall'opulenza della città e dai modi gentili del conte di Grange, Theresa, di nascosto dal padre, si sposa con il conte; personaggio losco e dissoluto... Ben presto, però, la ragazza si accorgerà della vanità del loro amore e, infelice e con una dote dilapidata, subirà la tristezza che si affaccia prepotente nella sua vita. Nel frattempo il cugino promesso sposo si congiunge con Bessy di cui si era innamorato. Invidia e perfidia sconvolgono Theresa che, dopo la morte per assassinio del marito, ritorna al castello, dal deluso padre che intanto ospitava proprio Bessy e Duke. Anni dopo, morta Bessy per una strana malattia, dopo qualche tempo, finalmente, Theresa e Duke, tra lo smarrimento di amici e parenti, si sposano. Ma i due non saranno felici. Una volta scoperto che Victorine, la sempre fedele domestica di Theresa, era stata l'assassina di Bessy, Duke abbandona il castello e lascia da sola Theresa che morirà di disperazione appena dopo. Si spiega così il perché della rovina del castello di Crowley…

La scrittrice vittoriana ci lascia la storia di una famiglia in decadenza, di peccati, di lutti (il conte, il padre di Theresa, il bambino di Duke e Bessy, Bessy stessa, Victorine, Theresa). Troviamo inoltre la ricerca del contrasto tra l'artificiosità di Theresa e la semplicità di Bessy, tuttavia entrambi i personaggi non appaiono piacevoli. L'artificiosità della protagonista, infatti, è acida, sproporzionata; la semplicità di Bessy invece è ingenua e altrettanto eccessiva; e non si ha voglia di parteggiare per l’una o per l’altra…

15 set 2012

Il sergente nella neve - Mario Rigoni Stern (Romanzo - 1953)


"Passando per un villaggio vediamo dei cadaveri davanti agli usci delle isbe. Sono donne e ragazzi. Forse sorpresi così nel sonno perché sono in camicia. Le gambe e le braccia nude sono più bianche della neve, sembrano gigli su un altare. Una donna è nuda sulla neve, più bianca della neve e vicino la neve è rossa. Non voglio guardare, ma loro ci sono anche se io non guardo. Una giovane è con le braccia aperte, e ha sul viso un lino bianco. Ma perché questo? Chi è stato? E si continua a camminare".

Russia, inverno del 1942/43. Le trincee scavate nella neve, la ritirata sotto un vento gelato. La lontananza da casa, la neve onnipresente, i massacranti appostamenti, le freddissime trincee, la terrificante paura, le micidiali battaglie, la devastante ritirata, i sognanti ricordi, il desiderio inesauribile di tornare a casa; il capolavoro di Stern è una delle più significative testimonianze letterarie della ritirata di Russia, e della guerra, che non ha spazi per la retorica. Nella narrazione non c'è enfasi, magniloquenza; l'esperienza della guerra, estrema, assurda, è raccontata con sottile concretezza, con glaciale plasticità, addirittura quasi con nostalgia, ma senza mai esaltare sopra le righe le piccole vittorie, le sopravvivenze conquistate. Nel contrasto tra la staticità della prima parte (quella rivolta alle operazioni di trincea in Russia), e la dinamicità della seconda parte (quella dedicata alla ritirata il cui stile semplice e tangibile dà al racconto un ritmo straordinario), c’è tutto il senso della disfatta di un popolo, ma al contempo la straordinaria, possibile, grandezza dei limiti di sopportazione dell'uomo. In questo, e non solo per la toccante testimonianza diretta dall’altissimo valore documentaristico, ci vedo un sostrato formativo.
I ricordi sono nitidi, precisi. I racconti delle pause tra uno scontro e l'altro sono candidi, di lotta per la sopravvivenza, tuttavia bisognosi di comunicare l'affinità tra l'uomo e la natura, tra il narratore e la neve di Russia (che gli ricorda quella delle sue montagne), tra l’uomo e gli uomini. Affinità che con il precipitare degli eventi muta e gli uomini non sono più un tutt'uno con quella natura (quella russa): le sopravvivono, chi ci riesce, e i soldati cercano nei ricordi le loro terre, la loro vera dimensione e natura.
Durante la straziante ritirata, la cui rievocazione è vivida e devastante, non c'è pausa, non c'è un attimo di tregua, il freddo, la stanchezza, i russi che li inseguono, la fame, il sonno, la penuria di munizioni, i ricordi, i desideri, sono lì, sempre presenti. Gli uomini diventano automi, ma non si dimenticano mai di essere uomini. Ecco i toccanti e fulminei ricordi dei compagni d'avventura, specialmente dei commilitoni morti; l'amicizia, quella strana comunione che si crea tra i commilitoni che insieme vivono la sofferenza della guerra; la responsabilità del sergente Rigoni verso i suoi uomini e amici.

Il romanzo di Stern è un libro pedagogico, da leggere a scuola. È un libro commovente, stilisticamente notevole; un’opera bellissima.

14 set 2012

Storia dell'occhio - Georges Bataille (Racconto - 1928/1967)


"Mi distesi allora sull'erba, il cranio su una grande pietra piatta e gli occhi aperti sulla Via Lattea, lo strano squarcio di sperma astrale e di urina celeste che attraversa la volta cranica formata dal cerchio delle costellazioni: quella ferita aperta alla sommità del cielo e apparentemente composta da vapori ammoniacali rifulgenti nell'immensità - nello spazio vuoto dove si van lacerando assurdamente come un grido di gallo nel silenzio assoluto - un uovo, un occhio scoppiato o il mio cranio abbacinato e pesantemente incollato alla pietra ne rimandavano all'infinito immagini simmetriche". 

Scritto in prima persona, è il racconto di un erotismo lugubre e angoscioso tra un narratore tormentato di fronte al sesso e Simone, una sedicenne disinibita e perversa. I due sono giovanissimi, ma dipanano una sequela di atti carnali che non hanno nulla da invidiare alle scellerate fantasie del marchese de Sade. Già dai primi atti i ragazzi, posseduti da una violenta forza voluttuosa, coinvolgono nei loro giochi Marcelle, una bellissima ragazzina fragile e senza carattere. Via via che la storia incalza le loro azioni divengono sempre più estreme, più perverse e ben presto le loro orge saranno scoperte dai genitori e porteranno Marcelle alla follia. Ma i due protagonisti non possono amarsi senza la loro amica, senza essere visti... Una notte quindi, tormentati dal suo corpo, fanno evadere Marcelle dal castello psichiatrico in cui era rinchiusa. Giunti a casa però, e riconosciuto luogo e attori causa della sua follia, Marcelle non riesce a sostenere il peso della colpa e s’impicca. Davanti al cadavere con gli occhi aperti, mentre il narratore e Simone hanno il loro primo rapporto completo, Bataille scrive pagine bellissime nella loro violenza e necrofilia. Fuggiti in Spagna, i due ragazzi sono ospiti di un ricco quanto perverso inglese che abusa di loro solo visivamente. Qui, in un crescendo di lascivia e ferocia, i tre si abbandonano al vizio, alla blasfemia e persino all'assassinio.
È una storia morbosa, ossessionata, estrema, di cupa formazione; un compendio di perversioni, alcune infantili, altre senza limiti; un racconto erotico, pornografico, sadiano però senza, o quasi, eccessi sadici. Ci troviamo di fronte all’elogio della masturbazione, dell'estetica dei liquidi seminali, dell'urina (le lacrime degli occhi), del voyeurismo. Le depravazioni che si consumano sono di solito prive di penetrazioni. I ragazzi cercano continuamente di rendere l'atto sessuale inusuale, estetico, da eccitazione per gli occhi. Ci sono occhi che guardano ovunque. Ciotole di latte, uova, testicoli di toro, occhi umani estirpati dalle orbite sono tutti testimoni oculari e veri protagonisti delle scelleratezze dei due giovani. Ci sono anche gli occhi dei compagni d’avventura: genitori, compagni di giochi. Gli stessi protagonisti, per mezzo dei loro occhi, sono spettatori. Il gioco a tre con Marcelle, e dopo con il voyeur inglese, ha origine da questa ossessiva volontà di farsi vedere. Il sesso deve essere visto; ecco perché le descrizioni di Bataille sono così concrete e vivide nella loro oscenità. Infine ci sono io, i miei occhi di lettore che attraverso la toppa della serratura bucata dalle parole vedono e partecipano ai loro deliri…

Il volume, in questa edizione (SE, 2008), propone la prima e l'ultima pubblicazione di uno dei racconti più celebri dello scrittore e filosofo francese. Il libro, inoltre, è corredato dalle oniriche illustrazioni di André Masson e Hans Bellmer e da un breve saggio di Barthes sul valore metaforico e metonimico del racconto.

11 set 2012

I filosofi in cucina - Michel Onfray (Saggio - 1989)


"Un sapere ateo è sapienza estetica. La confusione tra una scienza dell'agire e l'arte di vivere invita a questa diet-etica desiderosa d'eudemonismo. Destinata alla putrefazione e all'esplosione in molteplici frammenti, la carne non ha altro destino che quello anteriore della morte. Il cattivo uso del corpo è un errore che ha in sé la propria sanzione: non si recupera il tempo perduto".

Da un gustoso racconto autobiografico, Onfray prende la penna e si lancia nel progetto di una lezione di edonismo. Il bene è il piacere; e il piacere dovrebbe essere la molla che ci spinge a vivere l’unica vita che ci è concessa. Non c’è nulla dopo la morte. È il corpo che pensa, sono i sensi che stimolano la riflessione, che conoscono. Perché quindi mortificare il corpo e privarci del piacere in vita? Da questo presupposto, ateo, materialista, il filosofo si muove e l’elogio del fisico, dei sensi, unici dispensatori di verità e fondamenti della ragione e della logica, si fa propizio, assoluto.
Qui in particolare Onfray prende in esame il piacere della gola e propone una dietetica che si fa estetica, etica, scienza della soggettività. Il pensare e filosofare in cucina, con le sensazioni, con la materia, mettere in rapporto la testa pensante e la pancia istintiva. Anche perché soddisfatta la pancia è più semplice filosofeggiare! 
Convinto del celebre motto feuerbachiano 'l'uomo è ciò che mangia', con uno spassosissimo gioco comparativo, Onfray racconta curiosissimi aneddoti sulle abitudini culinarie di alcuni fra i più grandi filosofi per carpirne il temperamento del loro pensiero. E così leggiamo di un cinico ed estetico Diogene contrario all'artificio dei costumi e delle tradizioni, e che nel cannibalismo scorge coerenza per un ritorno alla semplicità dello stato di natura. Di un oscurantista e reazionario Rousseau che si nutriva di latte e di verdure solo per non morire. Di un critico Kant che nei sensi scova imprecisioni e particolarismi e non si cura di essi, anche se trova nel vino e nella buona cucina il modo per smentirsi. Di un utopista Fourier che desidera dominare ogni piega della natura per creare la società armonica e perfetta, dove il desiderio del buon cibo sarà il fulcro che renderà equilibrata la società. O di un morigerato e inattuale Nietzsche, ghiotto di salumi, che crede che la dieta determini l'etica e che la misura sia un dovere verso il corpo. Oppure di un rivoluzionario ed esaltato Marinetti che vede nella dieta estetica, a base di riso nazionale e fantasia, il futuro. O infine di un platonico Sartre, schifato dai crostacei, dall'igiene, dal corpo, che non ha alcuna cura di sé e dell'alimentazione.

È un libro che ovviamente patteggia per i filosofi burrosi, amanti della cucina opulenta e saporita, che si scaglia contro i filosofi asciutti, ascetici, senza predilezioni per i piaceri della gola. Un libro succulento, fragrante, farcito di piacere.

9 set 2012

L'arte di insultare - Arthur Schopenhauer (Aforismi - 1860)


"Se rivolgiamo lo sguardo indietro ai duemila anni e più trascorsi nell'inutile tentativo di trovare un solido fondamento alla morale, forse ci verrà da pensare che non vi sia nessuna morale naturale, indipendente dalle istituzioni umane, ma che essa sia semplicemente un'invenzione artificiale, un mezzo escogitato per meglio raffrenare l'egoista e malvagia razza umana".

Anche se è preferibile non arrivare mai all'insulto, nella vita è inevitabile trovarsi in circostanze in cui l'offesa è necessaria. Ecco dunque un libro che educa il lettore a quest'arte raffinata, seppur di facile dominio. Ma queste sono le premesse e le intenzioni del filosofo o solo una mossa commerciale della casa editrice? Leggendo il volume le massime scelte non sembrano poi così offensive, ci si accorge invece di quanta finissima intuizione, acutezza e verità ci sia negli strali che Schopenhauer lancia. Cattiveria e rabbia sono solo gli abiti con cui si veste la ragione quando non è ascoltata. Forse è la verità in sé che risulta offensiva? Eppure non tutti gli aforismi mi sembrano depositari di verità. Le considerazioni sull'inferiorità delle donne, ad esempio, se in un primo momento fanno sorridere per la loro ingenuità, alla lunga infastidiscono.
Ma contro chi si scaglia il filosofo tedesco? Facile a dirlo, contro tutti: la società, la Germania, le donne, l'amore, la vita, il maltrattamento degli animali, la barba, Hegel, la storia; in breve contro il mondo intero.
È un libro dilettevole, a tratti fulminante, che abbozza la figura di un filosofo misantropo, misogino, a tratti altezzoso, ma che in fondo ha tutte le ragioni per essere tale. 
Piccolo neo. Dal singolo aforisma, presunto ingiurioso, preso in prestito dalle opere edite e inedite di Schopenhauer, purtroppo, non è possibile risalire all’opera da cui è tratto.

8 set 2012

Le cose dell'amore - Umberto Galimberti (Saggio - 2004)


"Nessuno, infatti, ama l'altro, ma ognuno ama ciò che ha creato con la materia dell'altro. Siamo irriducibilmente racchiusi nella nostra solitudine, e se trascendenza si dà, questa percorre lo spazio che c'è tra la natura e la sua trasfigurazione. Ciò che si ama è dunque la nostra creazione, non la natura, ma ciò che, a partire dalla natura, siamo in grado di creare".

Galimberti, in questo libro, pone domande e analisi sull’amore in un’epoca in cui si ha l’impressione che l’amore, nonostante alcune libertà culturali conquistate, sia inflazionato e totalmente libero da essere quasi privo della libertà stessa. 
Secondo il filosofo, nella relazione con l'amato si cerca se stessi, nel tu si cerca l'io. È l’aspetto più interessante del libro, un amore che non è per l’altro ma è egoistico. Diventa condivisibile l'insistenza dell’autore di descrivere la natura dell'oggetto amato. Di esso non si ama l’intrinseca natura, bensì la creazione, l'immagine idealizzata che il soggetto si costruisce. Eppure questo amore di sé salva l'individuo dalla società e dalle maschere da esse imposte. Purtroppo però l’uomo ha poco coraggio di amare; oscillante tra desiderio, idealizzazione, ricerca di sicurezza, si confonde e si perde in pulsioni contraddittorie e spiazzanti. Ecco perché il libro mette in relazione l’amore con una serie di concetti adiacenti, convergenti e opposti. Si passa dal rapporto con la trascendenza (il Dio dei mistici per intenderci; un Dio che ritroveremo anche a sproposito per tutta la lettura…), al rapporto con l'odio, l'aggressività, e dopo diversi salti fino ad arrivare all’amore che si conserva e allo stesso tempo muta nel matrimonio. Lungo questa corsa di parole, possiamo leggere la definizione dell'amore come un tentativo per spiegare l'uomo.
C’è nel testo però un afflato assolutistico che non mi convince. Tutti amiamo allo stesso modo? Siamo sicuri che tutti scegliamo liberamente il nostro partner o invece siamo solo costretti dal caso, dalla fretta, dall’imprevedibilità degli eventi? Sembra che le determinazioni dell'amore e degli altri termini legati a esso siano assoluti, universali, quando invece credo che si debba essere più attenti a mostrare le differenze. È uno studio che si inserisce lungo la scia delle definizioni dell'amore platonico, romantico, cristiano... L'amore proustiano dell'illusione, l'amore materiale della biologia non sono quasi mai presi in considerazione.
L’argomento, si sa, è complicato, sfuggente. Malgrado ciò Galimberti sviscera il tema con acutezza e scrupolo, mettendo a nudo oggetti e relazioni di una questione che non finirà mai di porre domande, di riproporne, di suggerire ancora una volta le debolezze dell'uomo e della società in cui è claustrofobicamente incastrato.

5 set 2012

Stanley Kubrick. L'arancia meccanica - Giorgio Cremonini (Saggio - 1996)


"Il suo è un linguaggio freddo, razionale, conseguente, che viviseziona spietatamente le contraddizioni, con una messa in scena curata e levigata sin quasi alla perfezione e una costruzione del racconto che toglie spazio alle emozioni per riservarlo alla lucidità della riflessione".

‘Arancia meccanica’ è un film claustrofobico, perfetto nelle simmetrie, dai dettagli spiazzanti, ricercati, volutamente sperimentali, dalle infinite citazioni (ma ogni film di Kubrick è miniera inesauribile di criptocitazioni), dalle geniali scelte dei commenti musicali. È un film che non giudica, che non dà giudizi morali, ma che si limita a descrivere l'uomo, la sua innata contraddizione, il suo oscillare tra la violenza e i vani tentativi di porvi rimedio. È un universo di contrasti, di antinomie, che tratteggia l'individuo, la fragilità del mondo e la società in cui esso è assorbito. 
L’accorto studio di Cremonini non soltanto mette in luce tutto ciò, ma evidenzia le contraddizioni che Kubrick ha analizzato in tutta la sua opera. In particolare, come avevo già rilevato a proposito del romanzo di Burgess, l’autore si concentra sul confronto-scontro tra Natura e Cultura, tra nomos e physis. Il volume inoltre si fa prezioso per i continui richiami alle altre opere kubrickiane (e all’indispensabile libro di Bernardi) e per gli interessantissimi confronti con il capolavoro del 1971. Considerevole la ricostruzione dei fenomeni culturali che negli anni appena precedenti l'uscita di 'Arancia meccanica' suscitarono dibattito e clamore (su tutte la pop art) e che di certo furono di ispirazione per Kubrick.
Cremonini, almeno nelle intenzioni, cerca di essere il più obiettivo possibile nell'analizzare il film. Certo, non mancano esultanze di fronte alla figura di Kubrick, ma è il genio di Kubrick stesso a suggestionarlo. Questo non toglie che le sue interpretazioni siano sottili, condiscendenti, denotino finezza, intuito e ottimo spirito d'osservazione.

3 set 2012

Il giudice beffato - Donatien-Alphonse-Francois de Sade (Racconto - 1787)


"Per cinque volte di seguito è coronato dall'amore, finché al mattino le finestre aperte lasciano penetrare un raggio di luce nella stanza, e agli occhi del vincitore si offre la vista della vittima che ha immolato... Giusto cielo, che scena, quando scorge una vecchia negra in luogo di sua moglie, quando vede un volto nero e orrendo rimpiazzare le grazie delicate che aveva creduto di possedere!"

L’odio del ‘divin marchese’ verso la magistratura lo indusse a scrivere un racconto rabbioso, spietato, disperato se vogliamo, senz’altro vendicativo, senza un briciolo di ironia nonostante la banalità del comico che ci mostra e ci anticipa sin dal titolo. Il protagonista del racconto, il signore di Fontanis, magistrato e presidente del parlamento di Aix, non è un eroe; è la vittima predestinata di Sade. Il signore di Fontanis è l’emblema della magistratura cui Sade scaglia i suoi crudeli strali. 
La trama è semplice. Il vecchio e immorale magistrato è scelto dal barone de Téroze per darle in sposa sua figlia, una bellissima diciottenne già innamorata del giovane conte d'Elbène. Senza troppi preamboli, il vecchio e la giovane si sposano, ma questa, con l'aiuto dell'amato, della sorella e del cognato, si fa beffe del marito. Lo avvelenano la prima notte di nozze; lo lasciano cadere dal letto mentre è confuso dal sonno; lo inducono a copulare involontariamente con anziane e asini; lo costringono a passare alcuni giorni in un castello infestato da fantasmi violenti; gli fanno credere che improbabili palloni aerostatici sfreccianti sulle costellazioni che mostrano due giovani congiungersi sessualmente siano rari fenomeni astronomici. Ovviamente non possono mancare le torture sadiche e quindi una notte il povero magistrato è vittima di flagellazioni e crudo terrore psicologico. Le beffe, come si vede, sono decisamente ridicole. Però la ripetizione continua e sfrenata di esse porteranno il giudice allo sconvolgimento e finirà per ammattirsi  e scappare dalla moglie e dalla famiglia. 
Un racconto noioso, ripetitivo, traboccante di vicende, senza molti momenti da dedicare alla riflessione. Un racconto contro i pregiudizi, anche se di pregiudizi è fondato. Ma quale messaggio il marchese de Sade ha voluto lasciare? Il messaggio della Natura, e non poteva essere altrimenti: se gli uomini sono diversi tra loro, allora è ingiusto pretendere che esistano leggi uguali per tutti. Di conseguenza devono essere legittimati persino i delitti più orrendi. In fondo chi sono i giudici che si permettono di giudicare contro natura? Piuttosto dovrebbero pensare di più a godere!

1 set 2012

Horror pleni - Gillo Dorfles (Saggio - 2008)


"Il tempo di un Paese e dei suoi abitanti, dunque - nonostante la presunta globalizzazione e gli scambi incessanti tra i popoli - rimane ancora ancorato a quello che è lo stadio evolutivo, piuttosto che alla sua peculiarità etnica. Per cui la concezione temporale non potrà uniformarsi a quella dominante sul pianeta se anche il linguaggio non avrà compiuto una sua lenta, ma inesorabile, evoluzione (o involuzione)".

Non esiste uno spazio vuoto. Etere, muri di città, strade: nulla respira. Nella nostra società del consumismo siamo saturi di messaggi, siamo bersagliati da informazioni che spesso non hanno consapevolezza in noi. È un bene tutto ciò? Ecco una delle domande che si pone l’autore di questa raccolta di articoli rielaborati e già pubblicati dal 'Corriere della Sera'. Viviamo in una società in cui 'la (in)civiltà del rumore', come recita il sottotitolo, è pregnante, assuefacente. Politica, letteratura, arte, moda, siamo assuefatti dalle novità, dall'originalità a tutti i costi e non c'è più spazio per lo stupore. Una pioggia battente e costante che scivola sulla nostra pelle di plastica. L’inquinamento prodotto da notizie-proiettili che non riusciamo a schivare e che ormai ci vedono impermeabili, il rumore fastidioso quanto orripilante che coinvolge tutti i nostri sensi, ecco cosa ci resta di questo bombardamento. 
Altra domanda dunque: presa coscienza di tale inammissibile bombardamento, siamo costretti a subirne inevitabilmente il rumore o possiamo ritagliare uno spazio per reagire? Per Dorfles innanzitutto serve avere consapevolezza del mondo che ci circonda, solo dopo possiamo pensare di affrontarlo. Occorre pertanto affinare le proprie capacità critiche, carpire il senso del tempo libero, recuperare autonomia, individualità. Gli strumenti per agire in tale senso ci sono: l’estetica come promotrice di differenziazione, ad esempio, prestare attenzione al linguaggio, all'educazione, al buon gusto; tutte armi per attraversare la guerra contro l'appiattimento e il rumore.

Alcune considerazioni del filosofo e critico d’arte possono apparire ovvie, in alcuni casi persino banali, tuttavia celano sempre qualcosa di ben più profondo e attento. È una raccolta intelligente, per lo più condivisibile; un libro di critica, ma che non si limita solo a ciò e cerca di trovarne rimedio.

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