Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

29 giu 2017

La prigioniera - Marcel Proust (Romanzo - 1923)

"Allora, sentendo che era nel pieno del sonno, che non avrei urtato contro scogli di coscienza ricoperti ora dall'alta marea del sonno profondo, deliberatamente salivo senza rumore sul letto, mi sdraiavo accanto a lei, le cingevo con un braccio la vita, posavo le labbra sulla sua guancia e sul suo cuore, poi su tutte le parti del suo corpo, la sola mano che mi era rimasta libera, anch'essa, come le perle, sollevata dalla respirazione della dormiente; io stesso venivo leggermente cullato da quel movimento regolare: mi ero imbarcato sul sonno di Albertine".

Il possesso che nasce dai tormenti della gelosia. Questo potrebbe essere il sottotitolo esplicativo del quinto capitolo della Recherche.
Direttamente collegato al capitolo precedente, a Parigi, di rientro da Balbec, il narratore insieme ad Albertine, inizia a vivere la quotidianità della convivenza; una convivenza non facile però. Parigi infatti, lentamente, gli appare come una nuova Balbec, un luogo dove le occasioni per mentire da parte di Albertine non sono difficili da trovare. Dopo aver espresso la sua volontà di sposarla, il protagonista sente crescere la morbosità della gelosia. Una morbosità, come sappiamo, che nasce già nel capitolo precedente ma che qui si fa esplosiva. 
Durante le assenze di lei, per esempio quando Albertine passeggia per le vie di Parigi, Marcel (è la prima volta che il narratore nomina il suo nome) inizia a fantasticare sui suoi possibili tradimenti o addirittura sul suo passato in una forma di gelosia retrospettiva. Ma che meraviglia le pagine in cui guarda Albertine addormentata, e non c’è altro spazio per la gelosia. Sono le pagine in cui la ragazza, tra le mille conosciute, mostra solo il suo corpo, solo la sua superficie, l'unica zona di luce che Marcel ama veramente. Albertine in quegl'istanti è completamente sua.
In questa cornice malata e possessiva, continuiamo a leggere il contrappunto della relazione omosessuale del barone di Charlus con Morel (coppia speculare a quella tra il narratore e Albertine). Incontrati durante le visite da madame de Guermantes, sono pagine in cui non mancano i pettegolezzi e gli atteggiamenti snobistici, o le discussioni sulle scarpe e gli abiti da sera... Ma la relazione tra il barone e il violinista, anch'essa malata, piena di continui sotterfugi, di gelosie e di calcoli, è solo una parentesi.
Il racconto, infatti, ritorna sulla decisione di Marcel di fare sorvegliare la ragazza dal suo autista e da Andrée, la sua amica (una delle fanciulle in fiore che non sempre è limpida nei suoi racconti). Via via cresce tra gli amanti una tensione spasmodica e incommensurabile. Non ci sono personaggi, non ci sono azioni come nei precedenti capitoli; ogni cosa, ogni gesto, è Albertine. È un'analisi continua di ricordi, di espressioni, di intonazioni e sfumature facciali. Il mondo esterno, gradualmente, sparisce. A eccezione della breve parentesi sulla morte dello scrittore Bergotte e della parte dedicata al ricevimento dei Verdurin, pochissime sono le vicende narrate. Durante la serata dai Verdurin, dove il geloso Marcel non è accompagnato da Albertine, Charlus e Morel vedranno conflagrare la loro relazione, già compromessa, anche a seguito dei pettegolezzi dell'autoritaria e gelosa padrona di casa. È anche la sera del Settimino di Vinteuil, che porterà il narratore a riflettere, seppur brevemente, sulla bellezza e sull'esperienza dell'arte quale salvezza dalla vanità del mondo, dell'amore e della morte. Se l'amore è egoismo, incomunicabilità, menzogna e tormento, l'arte, invece, permette di sventrare l'universo degli altri, di vedere il mondo con gli occhi dell'artista. Non è l'amore l'ancora di salvezza per l'uomo, ma l'arte, quell'incontro quasi mistico con la bellezza.
Ma sono riflessioni che scorrono velocemente. Dopo la serata dai Verdurin, infatti, Marcel, a casa, litiga furiosamente con Albertine di cui scopre tutte le menzogne ripetute. 
La loro rottura prima sembra definitiva, ma la notte si conclude con una pace tra i due amanti. Nelle pagine seguenti, nei giorni seguenti, nonostante tutto sia apparentemente normale, si avverte ancor di più la pesantezza della loro condizione: di prigionia per Albertine, di schiavitù per Marcel. Qui l'abisso che si è creato tra i due è incolmabile. Non si amano più, ogni azione è spenta, sebbene sia colma di sensi. Così il narratore lotta con tutte le sue contraddizioni, con tutte le molteplici e antitetiche volontà. Si abbandona allo sconforto, al desiderio di andare a Venezia e allo stesso tempo di non lasciare andare Albertine da casa sua. Ma lei, sempre più fredda, sempre più esausta, scappa dalla sua prigione dorata e il volume si chiude con Marcel che scopre la fuga.

È evidente che il capitolo richiami il primo. La storia d'amore tra Marcel e Albertine ricorda inevitabilmente quella tra Swann e Odette, in un gioco di specchi e di rimandi che dimostrano come ogni dettaglio ne rifletta un altro (non mancano nemmeno i ricordi dei baci della mamma e delle madelaine) e come sia solida l’architettura dell’intero romanzo. Un capitolo greve, da digerire gradualmente, che conferma l'estrema sensibilità della riflessione proustiana.

2 giu 2017

Pensieri - Blaise Pascal (Pensieri - 1662)

"Quando mi son messo qualche volta a considerare il vario agitarsi degli uomini e i pericoli e le pene a cui si espongono, nella Corte, in guerra, donde nascono tante liti, passioni, imprese audaci e spesso malvagie, eccetera, ho scoperto che tutta l'infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non sapere starsene in pace, in una camera".

I dissidi dell'uomo (la sua grandezza e, allo stesso tempo, la sua miseria, i suoi limiti naturali, il dualismo  tra lo spirito di geometria e quello di finezza) non possono essere colmati dalla filosofia, tutt'al più può solo riconoscerli. Tocca, invece, alla fede religiosa giungere nell'ambito interiore del cuore che permette all'uomo la possibilità di conoscere Dio, la verità del cristianesimo, la risoluzione di ogni contraddizione. Ecco, in sintesi, la trama apologetica del pensiero pascaliano.
Nel difendere la sua religione, Pascal si dedica all'analisi dell'uomo e al suo stare nel mondo. È il Pascal più interessante, il più lontano, però, dalle dichiarazioni di onestà del ben più grande Montaigne (preso di mira più volte perché, in fondo, più che agli uomini, le riflessioni dell'autore scettico sono mirate verso se stesso in quanto singolo). E allora il filosofo di Port-Royal distingue l'uomo senza Dio, quello misero, triste, incompleto, e l'uomo con Dio, quello felice, ragionevole e dedito all'unico pensiero felice: il pensiero di Dio. La descrizione di una natura umana corrotta quanto inquieta e annoiata (mi sembra evidente che dietro il termine 'uomini'  si celi lo stesso Pascal) è affascinante. Ma quando si rivolge alla descrizione dell'uomo di fede, spesso, si respira una forte prepotenza, ma anche e soprattutto un che di stantio e di vecchio. Pascal, infatti, vomita odio verso chiunque non crede nell'unico vero Dio (quello cristiano) e insiste fortemente, noiosamente direi, su profezie, miracoli, scommesse, sensibilità; insomma su tutti gli strumenti paolini e agostiniani che affermano la superiorità della fede sulla ragione e la superiorità del credente sullo scettico. Quanta superbia senza avere nulla tra le mani.

Nell'analisi dell'uomo che oscilla tra la miseria e la continua vocazione alla grandezza sta tutto il genio di Pascal, ma il suo resta comunque un libro per rinfrescarsi la memoria sugli effimeri tentativi di rendere l'assurdo sensato e la menzogna verità.

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