Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

4 dic 2018

Mitologia delle costellazioni – Ian Ridpath (Saggio – 1988)

"Nel mito greco, Perseo era figlio di Danae, figlia del Re Acrisio di Argo. Acrisio aveva rinchiuso Danae in una segreta ben sorvegliata quando un oracolo predisse che sarebbe stato ucciso da suo nipote. Ma Zeus fece visita a Danae sotto le sembianze di un rovescio di pioggia dorata che, attraverso il lucernario della prigione, le cadde in grembo e la ingravidò. Quando Acrisio lo scoprì, rinchiuse Danae e il neonato Perseo in una cassa di legno e li gettò via in mare".

Per ciascuna delle costellazioni che sovrastano i nostri cieli, in questo libro è raccontata la loro storia mitologica. Ottantotto racconti d’altri tempi, che insieme alle stelle in un cielo di plenilunio, ci fanno sognare e ci fanno anche capire quanto bisogno di sicurezza abbiamo di fronte all'infinito e all'inspiegabile...
Le costellazioni, oltre ad essere spiegate da un punto di vista mitologico e astronomico, sono rappresentate nelle bellissime incisioni tratte da Atlas Coelstis del 1729 e da Uranographia del 1801.

2 dic 2018

Una giovinezza inventata – Lalla Romano (Romanzo – 1979)

"Per me il fascismo era un adolescente dalle mani fredde.
Camminava sghembo, a lunghe falcate, in margine ai portici di via Po, mi sorpassava, riappariva dall'altro lato, lanciando lunghe occhiate traverse. Io camminavo chiusa in me, tra lo sgomento e la compassione. Non che avessi paura perché Nino era fascista, ma perché lo sentivo disperato, persecutorio".

Ambientato negli anni Venti del secolo scorso, in una Torino malinconica e struggente, Lalla, giovane studentessa borghese, si iscrive alla facoltà di Lettere e presto avverte il desiderio di approfondire il suo talento per la pittura. Frequenta il maestro naturalista Giovanni Guarlotti e poi la scuola di Felice Caserati. In questo modo, attraverso la passione per l’arte, Lalla scopre la sua essenza e la sua educazione sentimentale. Spaesata, piena di interrogativi e turbamenti (ricorda Musil, oltre che Flaubert), l'autrice ci lascia un ritratto di sé (e della giovinezza) drammatico, attorcigliato, poetico anche, oscillante tra pensieri bui e disperati. Racconta i suoi primi rapporti di amicizia con le altre studentesse, i primi confronti con l’altro sesso, le prime segnanti delusioni d'amore che la portano alla disillusione e alla maturità. È un personaggio che sembra sperduto, che sente però il sogno di realizzarsi. Gli incontri, gli stimoli intellettuali diventano motivo di crescita. Una crescita che non è lineare nel racconto. Ogni episodio, infatti, sembra slegato dagli altri. Leggiamo di una ragazza che sincopaticamente alterna amicizie femminili a quelle maschili, docenti di Lettere a quelli di Filosofia, maestri di pittura ad altri. 
È un malinconico romanzo di formazione, insomma, autobiografico, in cui l’autrice racconta la sua passione per la bellezza, ma anche le sue paure miste alle dolcezza della giovinezza. Una giovinezza che ci consegna alla vita, a un percorso irrimediabilmente infelice. 
Con uno stile sorprendentemente asciutto, scevro da qualsiasi slancio poetico, è un libro autentico, inventato dalla memoria però, in cui la fantasia è invenzione della verità stessa. E la giovinezza diventa vera proprio perché proustianamente ritrovata.

26 nov 2018

Tre racconti - Tommaso Landolfi (Racconti - 1964)

"Ed era timido, quello sguardo, e al tempo stesso ardito; ardito in modo particolare, come di chi reagisca a un proprio sgomento, o meglio come... come mugolante, non trovo altra parola. Ah che vale? io mi confondo se tento di definirlo... Come muto, ma di qualcosa. Si può essere muti di qualcosa, come si è pieni o parlanti di qualcosa? Ebbene, il suo sguardo sarebbe stato muto di voluttà, di dolcezza, ma anche di pena, di presagio..."

Gli uomini, protagonisti di questi racconti, sono accomunati dall'imbarazzo che hanno nel palesare i loro sentimenti. Trovano sempre il modo di confessare il loro amore consapevole, ma sempre con estrema difficoltà e con esiti mai sorridenti. Come nel dostojevskiano La muta, il racconto più bello, in cui un cinquantenne, prima di essere giustiziato, ricorda in preda a violenti sensi di colpa il suo delitto: dopo che si era innamorato di una bellissima quindicenne muta, dopo averla fatta affezionare, dopo averla portata nella sua camera da letto, una notte, la uccide furiosamente con un rasoio. 
Nella Mano rubata, racconto in terza persona, durante una serata tra amici artisti, Marcello propone una partita a poker in cui i perdenti devono svestirsi o uccidersi. Marcello, alla fine riesce a vincere e tutti decidono di svestirsi, tranne Gisa, la bellissima donna di cui Marcello è innamorato e che desidera ardentemente e ossessivamente vedere nuda. Così, per evitare il suicidio dell’amata decisa a non svestirsi, Marcello propone alla ragazza di spogliarsi anche lui, nonostante sia il vincitore del gioco. 
Ne Gli sguardi, invece, un uomo anziano che ha abbandonato la moglie e i figli scrive un diario in cui confida il suo amore per Rossana, una ventiduenne barista neanche troppo bella. Rossana, nel frattempo, nel suo diario scrive del suo amore per l’uomo anziano suo cliente. Le due storie, in modo parallelo, procedono senza incontrarsi mai, neanche quando l’uomo si accorge dell’interesse nei suoi confronti della giovane Rossana. L’anziano, infatti, ritornerà dalla famiglia.

Nel rispetto dei grandi temi landolfiani che stanno sullo sfondo, questi personaggi sono infelici, costantemente inquieti; provano a ragionare usando una logica sopraffina, ma che di fronte agli impulsi amorosi si perdono nell'inconcludenza. Una logica che tradotta in parole è incapace di esprimere ogni cosa, di possedere la realtà, che non è semplice materia e semplice numero, ma anche emozione, spirito e impulso.

28 ott 2018

La leggenda dei monti naviganti – Paolo Rumiz (Saggio – 2007)

"Non conosco nessuna nazione che assista così passivamente alla morte dei luoghi. Lo si vede già dalla segnaletica, da come i cartelli dei paesi si mescolano a quelli degli ipermercati. Le frazioni, le alture, i ruscelli stanno perdendo il nome, ultimo presidio dell'identità. L'economia ha sostituito la topografia, le pagine gialle la carta geografica".

Se guardassimo l'Italia dall'alto, ci potrebbe sembrare che le sue catene montuose, le Alpi e gli Appennini, siano degli enormi massi galleggianti sul mare. Eppure questi massi, queste montagne sembrano essere lontani dai pensieri degli italiani stessi. In questo libro di viaggi, Rumiz racconta gli ottomila chilometri che ha attraversato tra le Alpi e gli Appennini dal 2003 al 2006, per cercare di recuperare un po' la storia di queste montagne e fissarla su carta e nella memoria collettiva, prima che l'incuria degli uomini sfasci ogni ricordo.
Il viaggio comincia nei pressi di Fiume, in Croazia, alla ricerca del punto di inizio delle Alpi. Parte dal mare, da una nuotata nelle acque dell’Adriatico. I cambi di paesaggio, tra una zona e un’altra, sono i protagonisti delle pagine, quasi a sottolineare l’universo molteplice che racchiudono in sé le Alpi. Il racconto si fa storia e microstoria: storia di soldati della Grande Guerra, storie di partigiani, storie di rivolte. È un racconto di incontri anche. Rumiz passeggia con Mauro Corona e, insieme, visitano il Vajont e la frana che ha causato la celebre tragedia del 1963. Poi, in Veneto, si arrampica, tra gli altri con Rigoni Stern sul suo Altopiano di Asiago. Il bellissimo incontro con un anziano Kapuściński a Bolzano, con De Stefani, con Bonatti. Non possono mancare le riflessioni sul paesaggio, sui fiumi, su come il deserto avanza mordendo e inghiottendo ogni cosa; ma anche sull'orgoglio dei bavaresi, sulla xenofobia degli svizzeri.
Gli Appennini poi, attraversati con una Topolino degli anni ’30 del secolo scorso. Un’avventura nell’avventura quindi, tra statali che si perdono tra le innumerevoli valli e gli altisonanti nomi di paesini, tra incontri imprevisti e violenti acquazzoni che si esauriscono in giornate di afa, fino a quando il viaggio finisce, come era iniziato, sul mare.
Due viaggi, lunghi, difficili, alla ricerca di un’Italia diversa, dimenticata, che sta sparendo. Montagne che conservano volti e storie antiche che sono identità e che sarebbe ingiusto dimenticare. Un libro che celebra tanta bellezza, ma che allo stesso tempo denuncia tanta incuria e tanto menefreghismo.

14 ott 2018

La caduta di Roma e la fine della civiltà - Bryan Ward-Perkins (Saggio - 2005)

"L'idea che la maggior parte del territorio romano venisse loro ceduto nel quadro di trattati formali, qual è formulata da certi storici recenti, è un puro e semplice errore. Dovunque si abbiano testimonianze di una certa ampiezza, quali quelle provenienti dalle province del Mediterraneo, la norma era indubbiamente la conquista o la resa alla minaccia della forza, e non un accordo pacifico."

L'idea di fondo dello storico inglese, contro l'idea ormai diffusa che nella tarda antichità sia avvenuta una transizione o un mutamento graduale dal mondo romano a quello medievale, è che con le invasioni barbariche ci sia stata una vera e propria tragica crisi, determinando la fine di una civiltà, di una grandissima civiltà come quella romana. Niente di graduale e pacifico insomma, niente integrazione tra barbari e civilizzati, come una certa tradizione storiografica propone. Il loro arrivo, invece, sotto forma di invasione e sostituzione, ha causato la frantumazione di un impero che non ha eguali nella storia dell'umanità. Invasioni che non sconvolsero solo l'impero d'Occidente, ma anche l'Oriente ne subì inizialmente gravi conseguenze. Con una sostanziale differenza però: Costantinopoli era protetta naturalmente dal mare e da imponenti mura difensive. Cosicché i barbari, senza capacità militari navali, via via e sempre più massicciamente spostarono la loro attenzione verso Occidente. Inondazioni di uomini che hanno causato un'inevitabile crisi economica, ma anche rivolte interne e conseguentemente una feroce crisi militare. Ecco perché schiavi e barbari, molto meno costosi, furono assoldati nell'esercito. L'integrazione dunque non ha avuto alcun ruolo in questa fase storica. Tutto ciò si evince facilmente, secondo Perkins, considerando le caratteristiche successive al crollo dell'impero romano, tra il V e il VII secolo: una drastica flessione demografica, un aumento della povertà, l'abbandono delle città e della cultura, la scomparsa del benessere. Per mezzo di moltissimi esempi ben documentati e descritti, leggiamo anche di come sia mutato l'uso della ceramica, della scomparsa della moneta dall'uso quotidiano, della drastica diminuzione della produzione alimentare; si assiste insomma alla fine di un livello di benessere e di raffinatezza che non si sarebbe più rivisto per molti secoli dopo.

Un libro, con tutte le dovute differenze storiche, per riflettere sul nostro presente, sulla fine della nostra civiltà...

23 set 2018

Alla ricerca del tempo perduto - Marcel Proust (Romanzo - 1927)

Molti anni fa, nell'arco di un mese e mezzo, divorai i sette volumi della Recherche colto dalla frenesia e dalla voracità di chi non si nausea facilmente delle parole raffinatissime di questa cattedrale di scrittura. Ricordo quelle settimane come quando si ha la febbre, una smania mista a brividi, uno stato di esaltazione. Ma quella frenesia non mi permise di trattenere il ricordo della storia narrata. Una valanga di parole, di personaggi, di emozioni si riversarono in me; questo mi rimase di quella febbre e poco altro. Non potevo non riprende la ricerca, anni dopo.
Anche se Proust è scrittore del noi, dell'universale, e io, invece, amo i pensatori dell'io, del singolare, le sue analisi brillano e danzano vertiginosamente. E in quel suo essere universale mi ritrovo. La gelosia, la sofferenza, la sessualità sono analizzate in modo viscerale, ma più di ogni cosa è il tempo, il tempo perduto, (quello passato e anche quello sprecato), l'assillo dell'autore e di Marcel, narratore e protagonista.
Romanzo che potrebbe essere definito di formazione, psicologico, sociologico, filosofico, in un continuo sviluppo che alla fine si dimostra perfettamente circolare, si dipana in un universo pessimistico costellato di illusioni e delusioni, ma che conserva un assaggio di verità e speranza. Se i nostri occhi si illuminano perché possiedono quella luce proiettata dalla fiducia, prima o poi si annebbieranno dalle lacrime di dolore bagnate dalla realtà. Eppure, solo alla fine, si può cogliere il vero, quando improvvisamente tutto ritorna all'origine del romanzo stesso, solo quando i sogni, gli amori, tutto quanto può far sentire felice un uomo sarà disatteso dalla verità e dal non-senso, solo allora si coglie un attimo di miraggio... In effetti (se nei primi due volumi è descritta l'infanzia e l'adolescenza del narratore, nei successivi due sono narrate le sue esperienze mondane, mentre nel terzo dittico l'amore drammatico per una donna), soltanto nell'ultimo volume è definita tutta la storia e il suo significato più profondo: il tempo distrugge ogni cosa, l'infanzia, le gioie, provoca morte e lutti, ma è grazie alla memoria, soprattutto la memoria involontaria, che si possono aprire i cancelli di una possibile salvezza. Memoria che deve essere spiegata attraverso l'arte, la letteratura, e così rendere il passato perduto ancora presente, ancora vivo, ancora carico di ulteriore senso.
La vocazione letteraria, la seduzione dell'aristocrazia, l'omosessualità, il ricordo dei primi anni, le descrizioni di una donna, di un paesaggio o di una chiesa talmente raffinate e deliziose da lasciare senza fiato, quelle sublimi pagine legate ai palpiti del cuore quando da un profumo, da un'immagine, ad un tratto, si risveglia un ricordo lontano e lo si recupera sono alcuni degli elementi che fanno di questo romanzo una sinfonia monumentale, in cui l'amore, la gelosia, la memoria e il lutto sono i suoi movimenti. Una simmetria perfetta, come una sinfonia con i suoi temi principali incorniciati tra contrappunti e variazioni. Proust con occhi da pittore dimostra quanto, attraverso una sensibilità fuori dal comune, si possano scavare e illuminare le ragioni del cuore e del dolore, diventando così maestro dell'analisi della natura dell'animo umano. In un connubio perfetto tra analisi scientifica, psicologica e parola poetica, la Recherche ci regala la metamorfosi che l'esistenza e il mondo subiscono nel tempo. Un tempo che non è affatto lineare, bensì circolare, che si avviluppa e ritorna. Le sue parole, nella loro malinconica dolcezza, mi ricordano l'adagietto di Mahler.
Bisogna sapere cosa sia la sofferenza per capire fino in fondo Proust, così come bisogna possedere una certa quota di sensibilità. Proust è un gigante, figlio di secoli che nel tempo hanno limato lo spirito umano e l'hanno educato alla sensibilità e all'eleganza. Noi non possiamo non essere, a nostra volta, figli di questo gigante e, con tutti i nostri limiti, della sua ricerca di perfezione.
Se sette volumi per un romanzo possono sembrare eccessivi, se possono sembrare verbosi ed economicamente superflui, non si può capire cosa vuol dire cogliere e perdersi nell'odore sublime del fiore della perfezione. E sono felice, perché so che tra qualche anno potrò ancora rivivere vecchie e nuove emozioni rileggendo uno dei libri più importanti della storia, uno dei più belli.

12 set 2018

La filosofia del marchese de Sade - a cura di Natale Sansone (Saggio - 2014)

"La sua filosofia è un invito a pensare l'essere umano senza reticenze, a ciò che è stato finora e a quel che potrebbe divenire. Per la nostra epoca Sade è quasi un monito, oppure uno sprone verso soluzioni diverse di quei problemi che egli aveva posto in rilievo. Cosicché mantiene ancora tutta la sua attualità l'esortazione di Blanchot a non sottovalutare e a non trascurare il pensiero di Sade, il quale, seppur originatosi da un personaggio camaleontico, imprevedibile e insopportabile, rappresenta pur sempre un vertice del pensiero moderno".


Il volume, che raccoglie diversi saggi di autori italiani sulla figura e sull'opera tanto controverse del marchese de Sade, cerca di dare, ancora una volta, dignità filosofica al pensiero del filosofo francese. L'opera dello scrittore e dell'illuminista è spesso considerata come mera pornografia, una bizzarria pseudoartistica figlia di un tempo in cui l'originale e la perversione erano sinonimi di moda. Ma, in verità, non è così. E questa raccolta cerca di dare una dimensione filosofica e di spessore a un autore che si è trovato di fronte a temi di assoluta profondità esistenziale. Ripercorrendo attentamente la sfortuna e la fortuna delle interpretazioni sul divin marchese, emerge un Sade estremo che ha portato ai limiti l'esaltazione della natura, la polemica antireligiosa e il sovvertimento politico. In queste pagine si cerca di capirne la filosofia prescindendo dalla biografia, per evitare di cadere negli stessi errori interpretativi che hanno segnato la disgrazia del senso filosofico del marchese.
Autore di un catechismo ribaltato, di una pedagogia mascherata, in cui la materia non lascia spazio allo spirito, in cui il vizio è inevitabilmente più attento alla felicità che all'infelicità  della virtù, in cui non esiste alcun Dio, Sade si propone dunque come un antesignano dell'opera nietzscheiana. Un filosofo esistenziale pessimista ante litteram (anticipatore di Heidegger) nonostante l'ottimismo illuministico, che oscilla tra contraddizioni e verità. Ma in questa dimensione nichilista, che cerca di distruggere con lo strumento più estremo che possiede, la ragione, ogni valore che mortifica il corpo e il piacere, Sade cerca anche di costruire un nuovo modello in grado di capovolgere i vecchi schemi morali e facendo professione di fede di immoralità.

Un libro che restituisce dignità al pensiero sadiano, nonostante alcune contraddizioni, alcuni paradossi, molte sue pagine sgradevoli e noiose, ma anche estreme nella loro dimensione esistenziale.

30 ago 2018

Il tempo ritrovato - Marcel Proust (Romanzo - 1927)

"Gli anni felici sono anni perduti, si aspetta una nuova sofferenza per poter lavorare. L'idea della sofferenza preliminare si associa all'idea di lavoro, si teme ogni nuova opera pensando ai dolori che prima si dovranno sopportare per poterla concepire. E non appena si capisce che la miglior cosa che si possa incontrare nella vita è la sofferenza, si pensa senza paura, quasi come a una liberazione, alla morte".

In questo ultimo e meraviglioso capitolo della Recherche, Marcel è ormai giunto alla pienezza della maturità. Dopo gli anni rivissuti nella memoria, sa leggere il tempo e i suoi ricordi con occhi diversi e sa osservarli delicatamente e profondamente, percependoli diversi da come li aveva vissuti. Intuisce che ogni episodio ricordato nella memoria (e riportato nelle pagine) è in sé un tempo ritrovato. La vera vita, quindi, quella senza maschere, quella pienamente vissuta, è poggiata sulla memoria e sulla sua rievocazione attraverso la letteratura. Vita e traslitterazione artistica dunque diventano i simboli di consapevolezza e conoscenza.
Siamo nel 1918, la Grande Guerra sta per finire e Marcel decide di tornare a Parigi dopo aver visitato diverse case di cura per cercare di guarire dalla depressione seguente la morte di Albertine. Però prima si ferma per qualche giorno da Gilberte, a Tansonville. Qui i due ricordano il passato, l'infanzia, il loro lontano amore. E Gilberte si rattrista; adesso che il marito Saint-Loup la tradisce ha nostalgia della felicità di quei momenti. La scena successiva si sposta a Parigi. Una città abitata dalla miseria, abbandonata alla paura della guerra. Viene a sapere delle nuove storie omosessuali del germanofilo barone di Charlus; di Madame Verdurin così indifferente e lontana dalle atrocità della guerra; della morte eroica di Saint-Loup ucciso sul fronte.
Finita la guerra tutti cercano di riprendere le vecchie abitudini. Marcel è invitato al ricevimento della principessa di Guermantes, la vedova madame Verdurin insopportabile per il suo pettegolezzo e la sua ignoranza. Dopo tanti anni, dopo la guerra, rientra nella mondanità parigina. Ma prima di incontrare gli altri, Marcel si ferma nella biblioteca della principessa e lì le intermittenze del cuore esplodono con tutta la loro prepotenza. Si compie una rivoluzione nel cuore e nella mente del narratore; il passato gli appare come uno strumento per sconfiggere il tempo che inesorabilmente e indifferentemente scorre trascinando con sé ogni cosa. Ne ha conferma al ricevimento, quando incontra i suoi vecchi amici in un finale corale in cui tutti i personaggi, vivi  e morti, in qualche modo sono presenti. Eppure non riesce a riconosce gli ospiti, gli anni sono trascorsi molto in fretta, tutto è cambiato e i suoi vecchi amici si sono trasformati sia fisicamente sia moralmente. Sono alcuni banalissimi particolari a far riflettere Marcel: i capelli bianchi e i visi irriconoscibili solcati da rughe di dame un volta bionde e bellissime, il tintinnio di una posata, il pavimento irregolare del cortile. La memoria involontaria inizia a correre; in questi brevi attimi mente e cuore si tengono a braccetto e richiamano il passato, quello gioioso della giovinezza, ma anche quello del dolore. Allora la riflessione si concentra sul tempo e su come agisce sulla materia dei corpi delle persone che conosciamo. Persone e volti che sembrano indossare maschere che hanno ormai i tratti della morte. E inevitabilmente l'esame si fa amaro e sfocia sul tema della morte. Ma è anche il momento del riscatto, del tentativo di vittoria sui secoli. È l'occasione, abbagliante e fulminea, in cui Marcel, anche lui segnato dai tratti dei decenni, si convince a scrivere un libro per sconfiggere il Tempo. È giunto il momento di rivivere tutta la sua storia con gli occhi di chi ha colto un senso universale; è giunto il momento di scrivere "Alla ricerca del tempo perduto". 

Summa di tutta l'opera, romanzo dell'istinto e dell'intuizione, il settimo volume conclude con una legge il suo lungo cammino: la verità si costruisce sui dolori, sui lutti, sugli anni della vita, ma c'è la memoria che sa prendersi la rivincita, è la memoria che vince sul tempo e solo attraverso i ricordi possiamo essere. È quindi lo spirito che sopraffà sulla materia e che ci porta alla felicità del momento. L'immaginazione e la sua traduzione in un'opera creativa sono le armi per riuscire in questa impresa titanica; solo così si possono fissare e rendere eterne le conquiste della memoria.

24 giu 2018

Il professore di desiderio - Philip Roth (Romanzo - 1977)

"Ma per quanto mi ammonisca per la mia amnesia, stupidità, ingratitudine, immaturità, per la stolta e suicida mancanza di ogni senso delle proporzioni, l'impeto di selvaggia lussuria che mi assale non è rivolto a questa squisita giovane donna con cui solo di recente sono emerso a una vita che promette il più profondo appagamento, ma per la minuta compagna perduta coi denti da coniglio che ho visto l'ultima volta mentre usciva dalla mia camera più di dieci anni fa a trenta chilometri da Rouen, desiderio per la mia lasciva anima gemella, che, prima che il mio senso del lecito cominciasse a implodere, accoglieva con la mia stessa frenesia e giocosità gli atti più insoliti e i pensieri più alieni. Oh, Birgitta, va' via!"

David Kepesh è da sempre estremamente attratto dal desiderio verso l'altro sesso. Nelle sue molteplici esperienze vive ogni istante come una vera questione di conoscenza e di riflessione; le passioni, i sentimenti sono da analizzare perché è lì che risiede la sua vera essenza di uomo. Al desiderio non si può rinunciare, non si può dare un limite; il desiderio è la verità e questa deve sempre essere creduta e detta. Così leggiamo, in un vero romanzo di formazione, l'evoluzione di un colto ragazzo ebreo che ha davanti a sé una carriera da professore universitario che nei suoi corsi al college darà lezione sulla presenza del desiderio e della passione nella letteratura mondiale. 
David ci racconta le sue esperienze di concupiscenza reali e letterarie sopra un'altalena, con i suoi punti più alti e soddisfatti e i suoi momenti più bassi e inappaganti. E se le avventure erotiche con Elisabeth e Birgitta, due ragazze svedesi con le quali vive un ménage à trois, rappresentano il periodo della perversione, mal digerita e che si spegne nell'infelicità e nel rimpianto, anche il matrimonio con Helen non è da meno. David, infatti, si sposa con una donna fatale, appassionata dell'Estremo Oriente e poco equilibrata. Un matrimonio che si trascina tra la banalità del quotidiano e l'assoluta indifferenza della passione dopo i primi appaganti anni. Di fronte a tanta desolazione non ci può essere che una soluzione: il divorzio. E il divorzio segna il momento di una crisi feroce, il momento in cui il desiderio (la verità dunque) sembra essersi spento del tutto. Ma dopo le visite dallo psichiatra e la morte della madre, dopo le pagine in cui la solitudine sembra definire il nuovo David, è il turno di una bellissima bionda con gli occhi verdi che lo ama, Claire. Allora l'ossessione nevrotica per il sesso, non per quello in sé quanto in chiave estetica e sociale, si riaccende. Claire rappresenta la guarigione, il ritorno all'equilibrio. Durante il loro viaggio in Italia del nord e a Praga in particolare, con la mente a Čechov e Kafka, e una mano che stringe quella di Claire, David capisce quanto la sua agonia sia finita. Un equilibrio, però, che sembra destinato a spegnersi nel tempo; ed è il tempo infatti, descritto dalla visita del padre anziano e di un suo amico sopravvissuto alla Shoah, che suggerisce il momento della fine.

Libro colto, colmo di citazioni letterarie, è un romanzo di spessore. David vuole suggerirci che è il desiderio che è vero; lì, tra le sue pieghe formatesi nell'ipocrisia delle società moderne, si annida la verità. E David lo capisce molto presto e presto diventa onesto di fronte ai dettati del desiderio.

10 giu 2018

Il grande disegno – Stephen Hawking, Leonard Mlodinow (Saggio – 2010)

“Ma proprio come Darwin e Wallace spiegarono in che modo l'apparente miracolosa struttura delle forme viventi potesse comparire senza l'intervento di un essere supremo, così il concetto di multiverso può spiegare la regolazione fine della legge fisica senza bisogno di un creatore benevolo che abbia fatto l'universo a nostro vantaggio".

Il saggio, divulgativo e prezioso, cerca di rispondere ad alcune delle più importanti domande, e finora senza risposta, sull’universo: perché esiste qualcosa invece che il nulla? Quando ha avuto inizio l’universo? Quest’ultimo è stato creato da un Dio generoso o è frutto di se stesso?
Ovviamente i due scienziati ripercorrono l’evoluzione delle varie interpretazioni che si sono date sulla natura che ci circonda, fino ad approdare alle nuove teorie quantistiche, in cui osservatore e osservazione non possono più essere scissi. In questo complesso guazzabuglio di teorie che si sovrappongono, ma non si confutano, la teoria M è considerata buona ed elegante per formulare una visione esaustiva delle leggi che governano il mondo. È la celebre teoria del tutto che ipoteticamente potrebbe unificare le quattro interazioni fondamentali: gravitazionale, elettromagnetica, nucleare debole e nucleare forte. Come è premura dei due autori sottolineare, all’interno di questa teoria non c’è spazio per un Dio che abbia innescato il motore del cosmo. La creazione sarebbe stata spontanea, in una cornice di multiversi infiniti nello spazio e nel tempo. Un universo che nasce spontaneamente dal nulla e che, quindi, non ha bisogno di un architetto, di Dio per intenderci, per crearsi e generare la vita e quindi noi.

Un libro che ispira fiducia, che ci rassicura sul valore della scienza e il suo desiderio intrinseco verso la verità, ma allo stesso tempo ci atterrisce di fronte alla miseria dell’uomo all’interno della storia dell’universo. Sebbene il carattere del libro sia fortemente scientifico (ma abbastanza facilmente leggibile), gli spunti filosofici e teologici sono onnipresenti (checché ne dicano gli autori sulla morte della filosofia…).

20 mag 2018

Factotum - Charles Bukowski (Romanzo - 1975)

"La stazione degli autobus era vicina a Times Square. Uscii in strada con la mia vecchia valigia. Era sera. La gente saliva sciamando dalla sotterranea. Come insetti, senza volto, impazziti, mi sbattevano contro, mi venivano addosso, mi circondavano, implacabili. Giravano come trottole, si urtavano, si spingevano; emettevano suoni orribili.
Mi fermai in un portone e finii l'ultima pinta".

Henry Chinascki, l'alter ego di Bukowski, è un factotum, ovvero, per sopravvivere, passa da un mestiere manuale all'altro nell'assoluta indifferenza. Mestieri che va cercando giornata dopo giornata, licenziamento dopo licenziamento, attraversando gli Stati Uniti negli anni che vanno dalla seconda guerra mondiale al dopoguerra. È una vita in cui regna il caos, l'improvvisazione, il caso. Una vita randagia dunque, il cui unico senso è una rassegnata sopravvivenza e il cui unico scopo è bere il più possibile per sfuggire all'assurdità della realtà che la circonda. Non è un caso che le pagine, maleodoranti di alcol e di bagni pubblici, sono spesso allucinate e oniriche. 
Lo stile, sincopato e veloce, con i suoi capitoli brevi, suggerisce questo senso di nausea perenne che caratterizza Henry Chinaski. Un personaggio che vive solo per la disperazione, come se in essa vi fosse il dramma e il vero significato dell'esistenza. Chinaski continua a viaggiare di città in città, senza una meta prestabilita; l'importante è riuscire a soddisfare il suo necessario bisogno di sbronzarsi e di scopare. Il lavoro quindi diventa solo il modo per ottenere i soldi per l'alcol e per sfuggire alla morte.
È l'emblema di una vita precaria, insensata, tragica, ma vissuta prepotentemente nella pienezza della sua dimensione più solitaria, libera e vera. Sembra un moderno Diogene di Sinope insomma, un cosmopolita che rifiuta drasticamente le convenzioni e i tabù sociali, senza ipocrisie, senza maschere. Eppure non manca la bellezza, la poesia, in tutto questo sudiciume. I contrasti sono fortissimi infatti, e spesso troviamo da un lato l'olezzo nauseabondo della birra, dell'immondizia, della turpitudine, dall'altro, contemporaneamente, il piacere totale di ascoltare le sinfonie di Mahler, di Beethoven, di Brahms, o di ammirare la luce delle lune piene...

Un romanzo che ricorda moltissimo le storie della beat generation; ma almeno qui si riesce a cogliere, seppur malato, un significato esistenziale abissale.

8 apr 2018

Autobiografia - Charles Darwin (Saggio - 1887)

"Non si può più sostenere, per esempio, che la cerniera di una conchiglia bivalve debba essere stata ideata da un essere intelligente, come la cerniera della porta dall'uomo. Un piano che regoli la variabilità degli esseri viventi e l'azione della selezione naturale, non è più evidente di un disegno che predisponga la direzione del vento. Tutto ciò che esiste in natura è il risultato di leggi determinate".

Charles Darwin, genio indiscusso dell'umanità, uomo appassionato che cerca disperatamente la verità a tutti i costi, è allo stesso tempo un uomo modesto e schivo. L'autobiografia, infatti, che va dal 1809 al 1882, racconta i primi anni felici in compagnia del padre, gli studi, le passioni per gli insetti, la caccia, la pesca, le amicizie in Scozia e a Cambridge. Non può mancare il ricordo seppur veloce del viaggio sulla Beagle. È un uomo che ama la compagnia dei suoi familiari, magari nella serenità della campagna per fuggire dal mondo degli accademici. La vita di società è povera di frequenze costanti e di vero interesse. È il motivo per cui, dopo qualche breve giudizio su alcuni suoi amici (alcun del calibro di Lyell, Spencer o Huxley), la riflessione e i ricordi, inevitabilmente, cadono sulla sua unica vera passione per la ricerca scientifica. 
E allora leggiamo della sua immensa scoperta, di come cioè le specie si evolvono gradualmente, di come le loro modifiche siano misurabili e diventino determinanti nella lotta per la sopravvivenza. Nessun grande disegno divino dunque, nessun finalismo... Frutto di una meditazione molto lunga, in un ambiente borghese vittoriano, conservatore e poco laico, la forza della sua analisi risiede nel rigore del pensiero e dello sforzo metodico, ma anche nella passione viscerale verso la conoscenza dei fatti e della realtà concreta. Una passione e una verità che nell'evoluzione del suo rivoluzionario pensiero, inevitabilmente, hanno lacerato profondamente le sue posizioni teologiche. Sono preziosi a questo riguardo gli appunti di Darwin sulla religione, sul lento ma inesorabile allontanamento dal suo credo religioso, i suoi dubbi, le osservazioni sull'insensatezza della teoria del grande disegno, sulla irrazionalità della religione, il suo essere agnostico. Pagine, non ci meraviglia, che furono omesse al momento della prima pubblicazione...

Un'opera privata, destinata ai figli e al ricordo di un uomo che sentiva il bisogno di scrivere per definire meglio se stesso e il futuro della sua scoperta, ma allo stesso tempo un'opera che ci insegna a essere liberi contro ogni dogmatismo e contro ogni forma di superstizione.

10 mar 2018

Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi - Antonio Ranieri (Saggio - 1880)

"Leopardi, certamente veritiero nel desiderare e cantare la morte nelle sue altissime poesie, era, nondimeno, nella pratica del vivere, il più apprensivo e, quel che era peggio, il più eccessivo, degli uomini".

Poco amabile e non poco capriccioso, il ritratto che ci lascia l'intimo amico Ranieri raffigura un Leopardi osservato nella sua dimensione del quotidiano. Gli anni sono gli ultimi della vita del poeta, dal 1830 al 1837. Sono gli anni dei viaggi tra Firenze, Roma e Napoli, gli anni della fatica fisica e della morte. Tuttavia, in questo racconto biografico, Leopardi non sembra il vero protagonista, è ai margini. Il vero protagonista è lo stesso Ranieri, con le sue vicissitudini personali, con le sue preoccupazioni; ed è anche la storia edificante della sorella di quest'ultimo, Paolina, che si è caricata di un peso quasi insostenibile.
Leopardi, quindi, con il suo essere avido di gelati, con il suo mondo di eccessi e di noncuranza di sé, è perdonato solo alla fine della narrazione, come fosse stato causa di una lunga sopportazione.
In appendice si possono leggere la breve e curiosa "Notizia intorno alla vita ed agli scritti di Giacomo Leopardi" e il "Supplemento alla notizia alla vita ed agli scritti di Giacomo Leopardi", scritto contro alcune false dicerie sulla presunta conversione prima della morte del poeta.

Una biografia amara.

27 feb 2018

Racconti impossibili - Tommaso Landolfi (Racconti - 1966)

"Un problema, s'è detto, è insolubile solo a motivo di una sua errata impostazione o di una insufficienza di dati: ma si può esser sicuri che le due cose non ne facciano una sola? e, se mai, come si farebbe a distinguere tra le due, in altri termini a stabilire quale delle due sia causa d'insolubilità?"

I racconti di questa raccolta, nella loro ironia e nel loro gioco di parole, celano enigmi e minacce per il comune significato che attribuiamo al senso della vita e per la visione tradizionale che abbiamo dell'uomo. Con la loro lettura è come se guardassimo il mondo, gli uomini, la vita, la morte e tutto ciò che concerne il senso dell'esistenza da una prospettiva lontana e distaccata. Come in "Un concetto astruso", dove un professore di un'altra galassia cerca velleitariamente di spiegare il significato della parola morte e prima ancora dei concetti di spazio e tempo. Dimensioni di cui noi osservatori, però, non abbiamo alcuna conoscenza e quindi siamo impossibilitati a comprendere la realtà che ci circonda. Siamo ingenui infatti, crediamo di possedere le parole e invece ognuna di essa rimanda al suo opposto e il significato si perde in mille rivoli di insensatezza. Così non stupisce se il problema della lingua e del linguaggio nell'incomprensibile "La passeggiata" si manifesta in tutta la sua astrusa complessità. Non esistono certezze nel mondo landolfiano, tutto è un'illusione e l'imprevedibilità e il senso finito della vita sono la sua sostanza.
Gli inganni della ragione, le difficoltà del linguaggio, le riduzioni all'assurdo si manifestano soprattutto nell'interessantissimo "A rotoli". Qui si raccontano i tormenti di un assassino pignolo ed estremamente logico, che cerca di pianificare un delitto perfetto basandosi solo sulla logica e sul calcolo. Ma il protagonista non riesce a giungere ad alcuna conclusione, si perde nei suoi stessi dedali mentali e quindi decide di lasciare al lancio di una monetina... Il caso è presente ancora con estrema forza in "Quattro chiacchiere in famiglia", in cui Dio, indifferente e terribile, commissiona all'arcangelo Gabriele l'assassinio di alcune persone senza alcun motivo. Se non esistono certezze, c'è solo spazio per il prospettivismo dunque. Come nel "Destino da pollo" che narra della rivolta delle galline contro gli uomini in un cambio di prospettiva e di relativismo estremamente angosciante. 

Insomma, è un Landolfi pessimista, il cui scopo è sondare l'essere uomo utilizzando il linguaggio, ma tutto si rivela relativo e velleitario. È una realtà profonda, terribile, amara, ma i racconti non sempre riescono a catturare l'attenzione...

13 feb 2018

La speranza è più della vita - Emil Mihai Cioran (Saggio - 1985)

"A me interessa solo l'io, l'io assoluto, il creatore. L'esser-soli con il nulla oppure con il tutto, questo dialogo forse impossibile. Può darsi sia solo un monologo, ma gli unici stati che sono importanti per me, che giustificano la vita, sono questi attimi, quando non c'è nient'altro che l'io, il tutto, il nulla, come lo si voglia considerare". 


Le risposte di Cioran all'intervista radiofonica del giornalista tedesco Paul Assall sono preziose perché nella loro brevità sintetizzano il pensiero del filosofo in modo preciso e chiaro. In particolare, il tema portante è quello della storia, dell'uomo e della loro stretta correlazione. Secondo Cioran, noi siamo condannati a non realizzarci mai; nessun miglioramento morale, nessuna evoluzione della società davanti al nostro orizzonte, solo un'implacabile discesa verso il peggio. Siamo destinati, tragicamente, a fallire, ne dobbiamo prendere atto; solo in questa presa di coscienza, nella sua intrinseca rassegnazione, possiamo permetterci di sperare di salvarci. L'uomo nasce già malato, è nella sua ontologia.
Così come le civiltà sono malate, ma non in senso patologico, bensì in senso storico. E l'Occidente ha fatto il suo corso, è stanco, non ha più alcun ruolo storico e si sta spegnendo come un malato terminale. La morte appare quindi come la soluzione al peggio. Ecco perché non c'è in Cioran nessun vero interesse per la storia contingente o per la politica, ma soprattutto per il suicidio e per la sua possibilità di scelta della morte. 
In appendice, è possibile leggere un breve e curioso scambio epistolare tra Cioran e Assall, da gustare con l'occhio dell'appassionato.

È un Cioran maturo, disincantato, in cui il nichilismo si fa puro, senza slanci emotivi, o preoccupazioni legati alla giovinezza (anche se non mancano elementi biografici che quasi sembrano trasparire un che di malinconico...). Un breve libretto sulla decadenza, in fin dei conti.

11 feb 2018

Decadenza - Michel Onfray (Saggio - 2017)

"L'annuncio nietzschiano della morte di Dio nell'Europa dell'Ottocento coincide con quello dell'inizio della fine della civiltà giudaico-cristiana. La traballante fede del XXI secolo non può più ottenere quello che, ai tempi di Guglielmo il Conquistatore, otteneva facendo costruire cattedrali e abbazie, chiese e basiliche. Le impalcature che stringono la Sagrada Familia come una protesi di contenimento simbolizzano perfettamente il punto esatto toccato dalla religione cristiana: una secca ontologica".

Il secondo volume della trilogia, annunciata dal precedente "Cosmo", è una riflessione complessiva sul movimento della Storia; un movimento che, secondo Onfray, è diametralmente opposto ai falsi schemi a prioristici di matrice hegeliana, per esempio. Un movimento vicino, invece, a quello schopenhaueriano o nietzschiano che contempla una forza irrazionale, alogica e vitale al suo fondamento. Nulla può sfuggire all'entropia, così come gli uomini e gli esseri viventi sono destinati a morire, anche le civiltà, nel tempo, subiscono la stessa sorte. Senza ottimismi, senza pessimismi, l'analisi del filosofo francese è reale, è tragica nella sua constatazione: la decadenza che porta alla fine, in un regno thanatocratico, è inevitabile. Più in particolare la sua indagine si sofferma sulla nostra civiltà, quella giudaico-cristiana, come recita l'esplicito sottotitolo: "Vita e morte della civiltà giudaico-cristiana".
Nella storia, nuove potenze si sono succedute a vecchie potenze in decadenza, e tali civiltà hanno sempre avuto dalla loro la forza, ma non quella della verità, piuttosto quella militare. E così si sono imposte, sono diventate uniche e assolute, per poi esplodere e cancellarsi dietro l'irresistibile forza del tempo. Anche la millenaria civiltà giudaico-cristiana, dopo la feroce ascesa e il monopolio assoluto della forza, sta sparendo ed è destinata a perire. In effetti, secondo Onfray, questo processo è già evidente: la nostra civiltà è in agonia, si appresta alla morte, per essere sostituita da un'altra altrettanto forza che presto o tardi sarà anch'essa destinata a scomparire; e così a seguire.
Il volume, quindi, ripercorre tutte le fasi, dalla nascita, alla prepotenza e alla decadenza, della civiltà giudaico-cristiana. Le origini mitiche su cui si è costruita sono lette nella prospettiva di un'illusione: Gesù, infatti, da cui tutta la nostra civiltà ha origine, è solo un personaggio mitologico su cui, per mezzo di sofismi e di violenza, si è costruita una nuova società destinata a regnare per millenni. Da questa evidente assurdità, dalla favola di Gesù, di un anticorpo fatto solo di parole, di allegorie e di simboli, la trasformazione in corpo, in materia concreta si ha con Paolo di Tarso, il quale opera una rivoluzione interpretativa e Gesù diventa Chiesa, spada, istituzione, politica, sangue, fuoco. Ecco allora il turno dell'oceano caotico della patristica e dei loro concili, dei loro sofismi, della loro ferocia antisemita a contribuire alla potenza di questa nuova civiltà in ascesa. E la nascente civiltà giudaico-cristiana, facendosi antisemita, si trasforma unicamente in cristiana. Nei primissimi secoli di sviluppo, in una condizioni di crisi (politica, economica, sociale, culturale), non è stato difficile per le prime sette cristiane inculcare nelle deboli menti di uomini incolti le loro strambe idee mitologiche. Fino a quando, Costantino ha usato la nuova religione come strumento per regnare...
Quando, però, sulle rive del Mediterraneo si formerà un'altra civiltà, quella islamica, violenta anch'essa, vendicativa anch'essa, delirante anch'essa, allora lo scontro risulterà inevitabile. E sarà feroce, come la Scolastica con le sue insensate sofisticherie, i santi ideologi delle Crociate, l'Inquisizione, i processi agli animali, alle streghe. Saranno l'Umanesimo e la riscoperta di Epicuro e Lucrezio, la scoperta delle Americhe e di altre civiltà, a far rinascere una filosofia nuova, a spiegare il mondo che ci circonda usando le armi della ragione e il metodo scientifico. Saranno le prime cannonate a fare scricchiolare la vecchia civiltà. Ecco dunque che Dio si eclissa, e il suo intervento nelle spiegazioni delle cose naturali, lentamente, diventa inutile. Mito che però è presto sostituito. La Rivoluzione francese e i suoi massacri dettati dalla penna del filosofo Rousseau, infatti, prendono il posto del cristianesimo con un'altra nuova e altrettanto pericolosa religione, quella dello Stato (etico). Idea che presto si incarna pienamente nel pensiero hegeliano il quale recupera Dio e ne fa il motore della storia (con tutti i suoi orrori razionali...). E da Hegel il passo verso Marx è immediato, così come quello verso il totalitarismo comunista. Entriamo dunque nel Novecento. Il fascismo, ovviamente, si inserisce dentro questo sentiero, di orrori e massacri in nome dello Stato, recuperando persino il cristianesimo che durante la rivoluzione francese e quella bolscevica era stato sostituito con la religione dell'ateismo. Poi Franco, naturalmente, Hitler, Pétain, il Concilio Vaticano II, il '68, lo strutturalismo, tutti frammenti che segnano l'agonia della civiltà.
Oggi l'Islam e la teocrazia imposta in alcune regioni del mondo non provocano nessuna decisa reazione nel mondo giudaico-cristiano, la nuova società meccanizzata e robotizzata che si sta delineando offre nuovi spunti di riflessione sul futuro con cui presto avremo a che fare; in ogni caso, inevitabilmente, è il nulla il nostro destino.

Ci troviamo di fronte a un volume di quasi 700 pagine che condensa duemila anni di storia; ricco, polemico, tragico. Qui Onfray ci suggerisce di leggere la storia, quella umana, quella mossa dal risentimento, partendo dalle sovrastrutture più che dalla struttura economica e in quest'ottica il fiato della nostra civiltà sembra davvero corto. Per riflettere sui grandi sistemi, per cercare di capire da dove nasciamo, chi siamo e quali sfide dovremo affrontare...

19 gen 2018

La pietra lunare - Tommaso Landolfi (Romanzo - 1939)

"Ma al giovane un solo balenio dei suoi occhi, ombrati da lunghe ciglia, è bastato; i capelli che ella pettina son corti lisci e un po' gonfi, il sommo delle sue spalle e del suo seno, le sue braccia nude, abbagliano fra l'ambra come latte in una coppa di topazio, come alabastro al di qua d'un fuoco, come perle fra l'oro, come neve fra campi dorati d'autunno... in una parola: Gurù!"

Con uno stile prezioso e articolato, il primo romanzo di Landolfi è onirico, vulcanico, surreale, magico, cosmogonico. Ci troviamo di fronte a un parallelismo ben definito, a un'antitetica duplicità: da un lato la monotonia della vita di paese, dall'altro la pulsionalità di un mondo notturno e lunare che solo in pochi privilegiati possono vedere. E sin dalla prima scena, di introduzione al contesto e ai personaggi principali, questo gioco di specchi è presente. 
Il racconto, infatti, inizia con una scena grottesca, quasi fastidiosa; per le vacanze estive, Giovancarlo, un giovane studente di lettere, rientra al paese di nascita e fa visita agli zii e ai cugini. I dialoghi tra loro, i soliti convenevoli, si spengono rapidamente, quasi a sottolineare l'inutilità degli eventi raccontati. Poi, però, da una finestra che si affaccia su ombre appena illuminate dalla luna, due occhi selvaggi fissano l'attonito ragazzo. È Gurù, una bella ragazza, amica degli zii, dalle linee aggraziate, con la pelle delicata, ben vestita, ma che alla fine della gonna mostra due zampe di capra! Dopo la meraviglia e il privilegio della visione di Giovancarlo (unico a notare il mostruoso dettaglio), la ragazza invita il giovane, timido e impacciato, a fare una passeggiata con lei sotto la luna piena, fino all'alba, quando i due si separano, e il mondo si sveglia.
Il giorno seguente, il ricordo della notte di plenilunio, sembra al giovane ancora inesperto delle cose della vita e dell'amore solo un sogno. Fino a quando, ascoltando i pettegolezzi dei paesani, scopre che Gurù ha una storia alle spalle di racconti sulle sue stravaganti abitudini e di emarginazione. Così, incuriosito e affascinato, con un banalissimo pretesto, la invita a casa sua dove capisce che in fondo è innamorato di lei e lei è innamorata di lui. Inizia una storia d'amore tenera, sincera, ma dove il quotidiano è monotono, solito, quasi insignificante. Una notte, però, Gurù sente un bisogno estremo di andare per i boschi sotto la luce di una luna quasi piena. Porta con sé il giovane amante e si svela allora negli occhi di quest'ultimo un mondo collaterale, un altro reale, vero anch'esso, ma non più razionale, bensì magico e misterioso. Qui Gurù ritorna ad avere le zampe di capra che il giovane aveva notato al loro primo incontro; i due incontrano altri personaggi, strani nei modi, violenti anche, impulsivi. È il mondo parallelo della luna e della notte, è il mondo dei sogni e della magia, è il mondo dell'inconscio e della pulsione. La realtà quotidiana, quella della vita di provincia, con i suoi ritmi e i suoi pettegolezzi, si confronta e si trasforma senza una vera e propria frattura con la realtà magica e onirica che si trova sotto la luce lunare.
È evidente che siamo di fronte al racconto di una metamorfosi, dalla luce alle ombre, che si manifesta in Gurù e nello stesso Giovancarlo; anche se il giovane, al termine di questa nuova esperienza notturna, decide di ritornare alla ragione, al sole, alla realtà omologata e quindi a lasciare il paese e Gurù, e ritornare a dare gli esami universitari...

8 gen 2018

Classifica: i più belli e il più deludente del 2017

Un anno, il 2017, che potrei definire di riequilibrio. Dopo la rinascita dell'anno precedente, infatti, molti aspetti della mia vita hanno trovato una certa stabilità e simmetria e, adesso, vedo con qualche tinta di verde e di blu quella strana quanto misteriosa vita pennellata prevalentemente di nero. Ricorderò i mesi passati ricchi di nuove esperienze, per i viaggi, per gli spazi più ampi conquistati, ma soprattutto per la possibilità di condivisione che mi hanno permesso. È vero, ho letto pochissimo, ho trovato meno spazio per la lettura, ma l'anno appena passato, credo, ha preparato il terreno per tornare ad avere maggiore armonia e serenità; lo scopriremo tra un anno...  Ma sto divagando!
Qui di seguito i tre libri più belli del 2017:


Soriano mi ha impressionato per l'aggressiva lucidità con cui vede il mondo e la stupidità dell'uomo; Proust ormai ci ha abituato a vette altissime e irraggiungibili; Roth invece mi ha sorpreso per l'apparente semplicità della sua scrittura e per le riflessioni su ciò che sembra essere la normalità di una vita oppressa dall'ipocrisia.
Tra queste letture, non posso non menzionare i libri del virologo Burioni, che con uno stile semplice e alla portata di tutti cercano di illuminare e quindi smascherare le pretese di scientificità di alcune pericolosissime correnti oscurantiste che da anni hanno sempre più visibilità. E, aggiungo, il curiosissimo libro di Manganelli, autore che sto riscoprendo.
Devo dire, per fortuna, che libri particolarmente brutti non ne ho letti, quindi, per quest'anno, non mi sento di condannare alcuna lettura.

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